Di che parla il vostro romanzo? Non c’è dubbio che i libri migliori parlino di molte cose, e quelli splendidi di qualcosa che è molto lontano dall’argomento dichiarato. Lo stesso vale per il vostro ultimo esercizio, in cui vi avevo chiesto di scrivere un testo assumendo il punto di vista di un oggetto inanimato.
Nel brano intitolato La base della civiltà, Bert Dowd dà la parola a una guarnizione di gomma: “Sono un tipo importante io, così importante che senza di me l’intera civiltà occidentale sarebbe finita a mollo”. L’immaginazione dell’autore non si ferma qui. La guarnizione, buttata dalla finestra da un idraulico fannullone, si mette a favoleggiare sull’ipotesi di venir ritrovata, in futuro, da un archeologo e di esser scambiata per una sacra reliquia. Il testo parla di abbandono, di quanto valiamo, dell’essere delusi da se stessi e di molto altro.
Abby Frye scrive dal punto di vista di una radio portatile comprata dalla famiglia Jones allo scoppio della seconda guerra mondiale. Non è solo la radio ad avere pensieri e sentimenti, ma anche gli altri oggetti della stanza, gelosi delle attenzioni che i Jones riservano al loro prezioso acquisto: “Il camino mi ha soffiato contro del fumo, risentito per il fatto che tutti sono più interessati al mio quadrante gradevolmente illuminato che alle sue piccole sfrigolanti e capricciose fiamme”. Ma come la guarnizione, anche la radio prima o poi finirà dimenticata in un angolo.
Gianluca S. racconta un omicidio dal punto di vista del suo autore materiale, un coltello: “Mi hanno estratto dal mio appartamento con molta più foga del solito, ma sul momento non ci ho fatto molto caso, può capitare. Solo quando ho cominciato a tagliare mi sono accorto che questa carne è diversa dal solito”. La cosa che lo preoccupa è però un’altra: “E adesso? Mi lascia qui, sul pavimento? Senza nemmeno pulirmi? Inaudito! Cafoni! Io sono un coltello di classe, io taglio solo la carne migliore, mi avete sentito?”.
Molti dei vostri oggetti inanimati si preoccupano del fatto di essere usati, o meno, per il loro scopo. Le sigarette muoiono dalla voglia di esser fumate, le scarpe con i tacchi a spillo si offendono perché finiscono abbandonate in fondo all’armadio, un tubo di gomma da giardino si rannicchia pieno di paura che tocchi anche a lui la messa al bando subita dai suoi simili.
Tastiere, gabinetti, specchi, computer, libri e foglie di tè, ognuno con la sua particolare prospettiva ma tutti uniti da una sorta di ansia esistenziale: “Che insolenza! Puff. Puff. Puff. Oh! Sto salendo… attenti! Attenti! Atterraggio morbido, non troppo dignitoso, ma almeno tutto intero”. L’autrice, Sally Sue, non ci svela chi sta parlando, ma credo che si tratti di uno di quei palloncini gonfiabili che, se li lasci andare, partono svolazzando con un rumore di scoreggia.
A volte è davvero difficile capire chi è il narratore. “Sarabande di piedistalli attoniti. Cannibali austriacanti in sottogonne di tulle nero. Impotenze postprandiali. Dieci frappè di kirghisi longevi quanto basta. Membra aduste dai riflessi resipiscenti”: solo alla fine del brano, Salvatore C. ci rivela che a parlare è un virus informatico, fiero della sua creatività.
Qual era lo scopo dell’esercizio? Forse ad alcuni di voi ha suggerito un’idea per una storia più lunga, anche se dubito che leggeremo mai un intero romanzo scritto dal punto di vista di un palloncino che si sgonfia. Questo compito però aveva soprattutto lo scopo di dimostrarvi che potete assumere il punto di vista di chiunque o di qualsiasi cosa.
Agli inizi di una carriera da scrittore, è facile procedere come se non aveste alcun controllo sul tema o sullo stile. E invece potete fare delle scelte. Siate coraggiosi e pieni d’inventiva. Se una cosa non va, buttatela e passate oltre. E questo ci riporta alla domanda iniziale: di cosa parla il vostro romanzo? Molti scrittori alle prime armi evitano la questione perché tutte le idee suonano un po’ mosce quando le si riassume. Jane Eyre, per esempio, parla di una povera governante che s’innamora del suo datore di lavoro solo per scoprire che lui ha una moglie demente rinchiusa in soffitta.
Il compito di questa settimana è semplice: completate la frase “il mio romanzo parla di…”. Se volete, potete scrivere anche più d’una frase, ma non dilungatevi per pagine intere tirando fuori tutti i temi del libro. Evitate anche le descrizioni troppo generiche: “Il mio romanzo parla di solitudine e di quanto è futile l’esistenza” non vuol dire niente.
Ditemi piuttosto di cosa si tratta in termini di trama; e se non avete ancora un’idea, inventate. Quando avrete buttato giù la prima stesura, magari vi accorgerete che il libro è cambiato tantissimo o che parla di tutt’altro. Ed è giusto così! Da qualche parte dovrete pur cominciare e come partenza questa non è niente male.
Internazionale, numero 643, 25 maggio 2006
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