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Così il re Salman ha distrutto la monarchia saudita

Durante la presentazione del Saudi tour, una gara di ciclismo, a Riyadh, in Arabia Saudita, 3 febbraio 2020. (Stuart Franklin, Getty Images)

L’eredità del re saudita Salman bin Abdulaziz è un paradosso basato su una contraddizione tra politiche riformiste e repressive che hanno avuto conseguenze per una schiera di potenti principi, ma anche per tanti cittadini comuni. La repressione finora più memorabile è quella dell’incarcerazione, a partire dal 2018, di importanti esponenti della famiglia reale in prigioni e alberghi a cinque stelle.

Re Salman se ne andrà lasciando la casa reale a pezzi. Il figlio Mohammed bin Salman ha usato i metodi e gli intrighi più umilianti contro i suoi rivali e i loro clan, una scelta che potrebbe ritorcersi contro di lui se salirà sul trono quando suo padre uscirà di scena.

Prima del regno di Salman molti osservatori ritenevano che la legittimità dei re sauditi si basasse sulle tradizioni e fosse cementata da un efficiente contratto sociale tra principi e cittadini. Gli uni e gli altri hanno beneficiato dei generosi sussidi e dei servizi di assistenza sociale pagati con gli introiti petroliferi. Il regno era considerato unito perché si pensava che gli Al Saud godessero del consenso tra i clan e i principi più potenti, che le permettevano di mostrare un’immagine di unità e di mantenere questo precario ordine politico e sociale, espandendosi attraverso generazioni di discendenti di sangue reale.

Oltre a essersi inimicato influenti componenti della casa reale, sembra che re Salman si sia alienato anche le simpatie dei suoi tradizionali alleati, cioè i gruppi religiosi che hanno sempre sostenuto la leadership e quelli semi indipendenti che oscillavano tra remissività e dissenso. Ora questo insieme sociale ha deciso di rifiutare le sue politiche basate sul clientelismo. Chi occasionalmente si ribellava è stato eliminato. Chi occasionalmente era trattato con condiscendenza oggi langue in carcere. Altri sono fuggiti dal paese in cerca di un rifugio sicuro.

Troppi nemici
I gruppi tribali che avevano manifestato lealtà al re e che si erano sempre affrettati a prestare il giuramento di fedeltà oggi sono trascurati e umiliati, spesso subiscono violenze contro le loro vite e le loro proprietà. Dagli howeitat del nord agli otaibah del centro, gli sceicchi e i componenti delle tribù sono ignorati o destituiti perché considerati resti di un lontano passato. Da quando il re e suo figlio li hanno assoggettati e messi a tacere i loro leader sono diventati figure decorative. Nessuno sa per quanto ancora resteranno in silenzio di fronte alla loro emarginazione e umiliazione.

Le donne che aspiravano a una vera emancipazione sono state incarcerate nelle prigioni di tutto il paese

Salman ha promesso di coltivare un nuovo cittadino giovane al posto di un passato tribale. Scaltri propagandisti come Saud al Qahtani, braccio destro del principe e suo rappresentante sulla scena globale, sono promossi e protetti. Quando si tratta di eliminare giornalisti fastidiosi che vivono all’estero, come Jamal Khashoggi, o di intimidire quelli che sono rimasti nel regno, i propagandisti indossano le vesti del sicario e obbediscono agli ordini senza fare domande.

Mentre il re tendeva una mano alle donne e prometteva di rafforzare la loro posizione nella società, quelle che aspiravano a una vera emancipazione sono state incarcerate nelle prigioni di tutto il paese. Salman e suo figlio hanno nominato diverse donne in ruoli di primo piano, gli hanno consentito di guidare l’auto e ne hanno aumentato la visibilità. Ma il regno ha tremato quando le attiviste hanno rivendicato veri diritti, oltre al volante e al campo da calcio. Le conseguenze impreviste che potevano derivare da una reale concessione di un maggior potere alle donne si sono dimostrate troppo pericolose ed esplosive perché il regime potesse tollerarle.

Il destino dei ragazzi è stato altrettanto tragico di quello delle loro sorelle. Il re ha inconsapevolmente favorito un esodo di giovani uomini e donne per i quali lo status di richiedenti asilo all’estero è preferibile al silenzio o, peggio, al carcere nel ricco regno desertico. I cinema e l’intrattenimento non sono bastati a comprare la loro fedeltà. Senza volerlo, Salman ha nutrito una sostanziosa diaspora saudita, fuggita proprio sotto il suo naso.

Salman lascerà a suo figlio il compito di mantenere la promessa di inaugurare una nuova era di apertura, prosperità, diversificazione economica e vaste opportunità per gli investimenti e il turismo.

Bin Salman oggi deve promuovere questa narrazione, non solo riguardo al regno ma soprattutto riguardo a se stesso, l’erede al trono. L’immagine pubblica del principe ereditario mescola serietà e propaganda, semplici illusioni con informazioni manipolate, il tutto costruito a tavolino dai suoi assistenti e dai suoi magnati dei mezzi d’informazione, e preso come oro colato da giornali e tv di tutto il mondo.

Il regno di Salman rappresenta una forma estrema di polarizzazione sociale, in cui solo una cricca ristretta di sudditi fedeli beneficia della munificenza regale. Questo ha reso la monarchia un fattore che accelera le spaccature e l’antagonismo a spese dell’unità.

Tra la diminuzione degli introiti petroliferi che servono per mettere a tacere potenziali voci di dissenso e le minacce di rischi globali come la pandemia di covid-19, il futuro del regno di Salman appare più cupo che mai. È improbabile che il principe ereditario sarà in grado di riguadagnare credibilità e ristabilire l’armonia nazionale quando suo padre non ci sarà più.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Questo è il primo di una serie di tre articoli sull’eredità del re Salman scritti dall’antropologa saudita Madawi al Rasheed su Middle East Eye.

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