Il Cremlino minaccia Memorial per attaccare l’occidente
Minacciare l’esistenza dell’ong Memorial – la più autorevole organizzazione russa per la difesa dei diritti umani e da trent’anni centro studi sulla repressione del regime sovietico – vuol dire infliggere un duro colpo ai diritti umani nella Russia di oggi e al libero dibattito sugli orrori del suo passato totalitario. Avere un’organizzazione come Memorial o non averla rivela il grado di maturità di una società. La società russa è matura, per ora. Ma alla leadership politica del paese non interessa. Per il Cremlino Memorial è solo l’organizzazione russa più famosa in Germania. E questo la rende uno degli strumenti più efficaci per fare pressione sui politici tedeschi ed europei.
Quando in Russia le autorità parlano della politica interna ed estera del paese, seguono sempre due fili conduttori di senso opposto, due veri e propri miti. All’interno del paese, ripetono i funzionari e i commentatori dei mezzi di comunicazione ufficiali, regnano pace, armonia e stabilità. Nel mondo esterno, al contrario, non c’è né pace né armonia né stabilità. La Russia è costretta a fare i conti con i nemici che insidiano i suoi confini, che ostacolano il suo sviluppo e che cercano di limitare la sua influenza nel mondo. È vero che anche la Russia ha qualche problema al suo interno, ma, come dicono i mezzi d’informazione controllati dallo stato, queste difficoltà non sono altro che conseguenza dei conflitti esterni.
I due miti della politica russa
Ricondurre i problemi interni a cause esterne è una vecchia strategia di lunga e consolidata eredità sovietica che, a livello retorico, ha il vantaggio di tenere al riparo la classe dirigente da possibili critiche. I vettori di questa malefica influenza esterna sono quelli che lo stato russo chiama indiscriminatamente “gli altri”, che si sono annidati nella compatta società russa. Sono identificati e dichiarati “agenti stranieri”, organizzazioni “indesiderate” ed “estremiste”.
La narrazione secondo cui in Russia regna la pace, mentre nel mondo esterno c’è la guerra, è inventata e ha ben poco a che fare con la realtà dei fatti. La società russa non è unita, ma è eterogenea e polarizzata su molte questioni: dal dialogo con il passato sovietico alle idee per il suo futuro politico (cioè il percorso lungo il quale si sta muovendo il paese). Se in Russia potessero esistere partiti e organizzazioni liberi di rappresentare davvero le opinioni dei cittadini, la lotta politica nel paese porterebbe a risultati elettorali imprevedibili e darebbe vita a un intenso e avvincente dibattito nazionale su molti argomenti.
Oggi, però, non c’è nulla del genere: la sfera pubblica resta appannaggio delle solerti autorità, sempre pronte a mascherare e a nascondere i veri conflitti interni e crearne – nell’immaginario dei cittadini – di esterni. Sia l’armonia interna sia i conflitti esterni sono costruiti a tavolino: con l’aiuto della propaganda, con il sostegno di alcuni gruppi della popolazione e attraverso la manipolazione dei sondaggi di opinione e delle elezioni.
La guerra della Russia con il mondo esterno è un mito politico fondamentale. Nella realtà, invece, sono proprio le persone più vicine al potere a essere le più integrate all’estero. Come mostrano gli studi sulle élite russe, il loro atteggiamento nei confronti dei paesi occidentali può anche essere ostile, contenere una certa dose di risentimento e insoddisfazione per la qualità dell’ospitalità ricevuta, ma per queste persone l’occidente rimane comunque l’orizzonte di riferimento.
Prendiamo il semplice fatto che, per anni, sono stati proprio i deputati russi a difendere il diritto di possedere proprietà immobiliari all’estero. Per chi oggi trae grandi benefici della situazione in Russia, la strada verso occidente è praticamente spalancata, perché le leggi occidentali proteggono meglio i loro beni, perché le università occidentali danno ai loro figli un’istruzione migliore e perché il livello di sicurezza personale a cui queste persone aspirano è concretamente raggiungibile solo al di fuori della Russia.
La Russia è profondamente integrata nell’economia mondiale come acquirente di prodotti industriali e tecnologici. La società russa e i leader politici del paese dipendono personalmente dalle infrastrutture finanziarie, legali e digitali straniere. In questa situazione è difficile insistere sull’indipendenza e sulla leadership della Russia nelle relazioni internazionali.
Tuttavia la leadership russa non ha nessuna intenzione di guardare in faccia la realtà: sta ancora cercando di affermare la sua indipendenza e la sua leadership. E siccome non può riuscirci facendo leva sui suoi punti forti – per esempio il peso e l’influenza economici – ricorre ad altri metodi che rientrano sempre nella sfera del conflitto. È proprio nelle situazioni di conflitto che i leader russi hanno a disposizione una serie di argomenti, o meglio “punti deboli” degli avversari, da usare nel dialogo internazionale. In questa strategia non è importante usare la forza, quanto mostrarne il potenziale attraverso minacce e gesti esemplari.
Valori contro prezzi
Va da sé che tutto ciò che è in grado di far male agli “avversari-partner” può trasformarsi in un’arma o in uno strumento di conflitto. Ed ecco spiegati la decisione di ammassare soldati al confine con l’Ucraina, il lancio di nuovi tipi di armamenti e altre dichiarazioni bellicose. La Russia, inoltre, è uno dei principali fornitori di risorse energetiche per i paesi occidentali, e anche questa leva viene spesso usata. La strategia del presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko di usare i profughi come arma di politica estera contro i paesi europei è stata molto criticata in Russia, il che significa che il paese non interferirà in questo gioco crudele. In questo caso, lo stesso dittatore bielorusso diventa un’arma russa. Il che è molto comodo, perché consente alla Russia, almeno da un punto di vista retorico, di negare facilmente il proprio coinvolgimento nella crisi.
Anche alcune organizzazioni e figure di primo piano all’interno della Russia, inclusa Memorial, si stanno trasformando in merce di scambio. Tutto (e tutti) torna utile per fare scandalo e aprire scontri pubblici con il nemico. Nel caso di Memorial, i manager politici russi sono interessati non tanto alle attività della ong del paese, quanto alla sua popolarità in Europa. Soprattutto in Germania, paese che ha estremamente a cuore la questione dei crimini del totalitarismo. La strategia sta già funzionando: la minaccia dello scioglimento dell’organizzazione ha immediatamente suscitato reazioni indignate tra i tedeschi. Il ministro degli esteri ha definito “scioccante” l’eventualità della chiusura di Memorial, e altri personaggi pubblici, tra cui diversi studiosi di Russia, hanno già scritto e pubblicato lettere a sostegno dei colleghi russi.
Più una figura o un’organizzazione è visibile e più “pesa” nella strategia del conflitto. Allo stesso tempo non si deve pensare che la contrattazione si svolga in maniera diretta: il gioco si svolge scambiandosi favori, come nei reciproci scambi di spie o nell’espulsione dei diplomatici. Certo, le autorità russe vorrebbero che i tedeschi dessero subito il via libera al gasdotto Nord Stream 2, ma capiscono anche che sarà difficile accelerare un processo che deve seguire una precisa procedura formale. E che di recente si è ulteriormente complicato a causa delle controversie in corso all’interno e ai confini dell’Unione europea (il Regno Unito si è appena aggiunto al dibattito sul gasdotto).
In questo tipo di strategia del conflitto è fondamentale anche far sapere agli oppositori che la Russia risponderà alle sanzioni e agli strumenti di pressione usati dagli occidentali. Questa risposta, di regola, non può essere simmetrica, poiché il peso economico e politico russo non è inferiore rispetto a quello degli avversari. Ma può comunque far male, perché gli “agenti stranieri” e le organizzazioni “indesiderate” si trovano in una situazione simile a quella degli ostaggi. La scorsa primavera l’organizzazione e il quartier generale di Aleksej Navalnyj sono stati dichiarati “estremisti” poco dopo l’annuncio degli Stati Uniti di nuove sanzioni contro la Russia. Con quel gesto la leadership russa ha di fatto trasferito parte della responsabilità per la sorte di Navalnyj sui paesi occidentali. Il Cremlino ha ripetutamente dimostrato che, in risposta a qualsiasi pressione esterna, colpirà gli “agenti” dell’occidente all’interno della Russia.
I politici, i personaggi pubblici e i giornalisti dell’opposizione russa non sono agenti di potenze straniere, l’amministrazione presidenziale lo sa bene. Identificare e punire questi “agenti” non serve a eliminare le influenze straniere, ma a bollare retoricamente come “altre” (estranee, diverse, non come noi) le persone indipendenti. Gli “altri” sono necessari alla leadership russa: sono una delle numerose leve per condurre una politica estera di conflitto e per nutrire i miti politici interni sull’unità della nazione e sull’ostilità dell’ambiente circostante.
In Russia la parte attiva e indipendente della società e le autorità hanno idee diverse in merito al valore di qualsiasi attività. Per molti, in Russia e all’estero, Memorial è una comunità di studiosi della repressione di stato e di difensori dei diritti umani, la cui presenza in Russia è un segnale della maturità della società. Una società che ha simili organizzazioni può rivendicare una propria soggettività, cioè può essere in grado di avere un rapporto sano e d’indipendenza con lo stato, senza farsi inglobare da esso.
Per le autorità, invece, l’indipendenza non ha nessun valore. Ma ha un prezzo. Che si misura a partire dal peso di un’organizzazione o di una persona, dalla sua utilità nello scambio di colpi in questa politica di equilibri in bilico tra guerra e pace. Le attuali autorità russe trattano le attività pubbliche più o meno allo stesso modo in cui le autorità sovietiche trattavano le opere d’arte delle collezioni museali che svendevano. Anche allora il prezzo era più importante del valore reale.
(Traduzione di Alessandra Bertuccelli)
Memorial è una storica organizzazione per la difesa dei diritti umani e la riabilitazione, morale e legale, delle vittime della repressione politica nella Russia sovietica e post-sovietica, in particolare dei prigionieri del gulag.
L’11 novembre 2021 la corte suprema russa ha ricevuto l’istanza di scioglimento dell’organizzazione presentata dalla procura generale per l’accusa di violazioni sistematiche della legge del 2012 sugli “agenti stranieri”. L’udienza si svolgerà il 25 novembre.
La procura accusa inoltre il centro per i diritti umani Memorial di giustificare le attività di gruppi riconosciuti come terroristici o di organizzazioni definite estremiste dalla legge russa.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Meduza.
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