Secondo il Daily Telegraph, il governo britannico sta preparando dei piani di evacuazione dei suoi cittadini dai paesi del sud dell’Europa in caso di rivolte dovute alla fine dell’euro. Banche e multinazionali stanno elaborando simulazioni sul crollo della moneta unica. Dal canto suo l’Economist prevede che “a meno di un radicale cambiamento di atteggiamento da parte della Bce e dei leader dell’Unione, la moneta unica potrebbe disintegrarsi nel giro di qualche settimana”.
L’apocalissi finanziaria ha dunque una data: il 9 dicembre, giorno in cui è in programma il vertice europeo per affrontare la crisi. La questione è se la Bce interverrà comprando titoli del debito pubblico dei paesi a rischio di bancarotta o emettendo eurobond sostenuti dai paesi dell’euro. Ma sia la Bce sia la Germania non ci stanno. La Bce continua a dare la priorità al controllo dell’inflazione in un’economia moribonda. Anche se Mario Draghi ha abbassato il tasso d’interesse primario, il costo del denaro è comunque più alto che all’inizio dell’anno. La dirigenza della Bce segue un’ideologia economica che dimentica un fatto: per poter pagare, le economie devono crescere, e per questo serve un equilibrio tra rigore e stimolo fiscale.
Ma il motivo del blocco della Bce è la politica tedesca che rifiuta il finanziamento pubblico per l’assorbimento del debito. Quest’atteggiamento, che sta uccidendo l’euro, ha dietro motivi interni: l’opinione pubblica tedesca è sobillata contro “gli spendaccioni europei del sud” e al tempo stesso non sa che è solo grazie all’euro che la Germania può esportare nel resto del continente e che le sue banche fanno affari prestando denaro per pagare le importazioni.
Ma in gioco c’è anche qualcos’altro. La Germania cerca di dominare le economie, e quindi i paesi dell’Unione, in base a criteri economici, e in ultima analisi sociali, che stabilisce lei. Questo significa rendere omogeneo lo spazio europeo rispetto agli interessi tedeschi, arrivando a modificare la costituzione degli altri paesi. Quella che sta giocando la cancelliera è una partita a poker: vuole arrivare all’ultimo momento utile, per poi dare il suo consenso, in cambio di garanzie che tutti i paesi dell’euro s’impegnino a ubbidire ai suoi diktat.
Intanto Sarkozy ha assunto un atteggiamento filoeuropeo nel tentativo di andar dietro alla sua Angela fino a convincerla. I due pensano che così facendo i debiti pubblici di Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia sarebbero garantiti, e quindi i mercati fermerebbero la loro scommessa speculativa sul default di interi paesi e sulla disintegrazione dell’euro. Ma è chiaro che quest’interpretazione limita i calcoli degli investitori alla pura speculazione, mentre i dati mostrano che gli investimenti sono orientati soprattutto dalle prospettive di crescita economica. Ora, di fronte a previsioni di un calo del pil dell’eurozona pari al 2 per cento nel 2012, il consolidamento del debito non basta per attirare i nuovi investimenti.
E una recessione significherebbe ancor più disoccupazione, quindi aumento del ricorso agli ammortizzatori sociali, quindi più deficit. Per evitarlo l’unica ricetta che viene proposta sono tagli pesanti, anche se recessivi, alla spesa pubblica, come condizione per prestare i soldi ai governi affinché possano pagare le banche. Il tutto sotto minaccia di ritirare le garanzie al fondo europeo di stabilità, facendo sprofondare interi paesi nel caos.
La partita è dura e per il momento la sta vincendo Merkel. Le pecorelle smarrite del Mediterraneo stanno entrando nell’ovile dell’austerità tedesca pur di non farsi scuoiare. Ma non è detto che l’euro sopravviva. L’annunciato aumento del fondo di stabilità a un miliardo di euro è fallito, perché non si è riusciti a imbrogliare i cinesi dai quali si sperava di ottenere un contributo. Il sostegno della Bce e del fondo di stabilità subiscono troppi condizionamenti politici per essere credibili sui mercati finanziari, e questo genera un’incertezza che potrebbe causare fallimenti a catena. Per evitare il crollo di alcune banche europee le sei grandi banche centrali sono intervenute insieme, iniettando liquidità in dollari nel mercato interbancario. Hanno così dato ossigeno agli istituti di credito mentre i politici continuano a trattare.
In tutto questo, l’ineffabile ministra dell’economia spagnola continua a ripetere che la Spagna è solvibile e che il fondo europeo di stabilità è sufficiente. E forse nella situazione che stiamo vivendo è proprio questa la cosa più dannosa: tenere all’oscuro i cittadini, senza dirgli che alternative hanno, con il pretesto di evitare il panico. È bene sapere che il crollo dell’euro è possibile, e che in tal caso i risparmi in euro-pesetas si svaluterebbero del 40 per cento e si imporrebbero controlli sui cambi e restrizioni della disponibilità bancaria.
I ricchi e le grandi imprese hanno già preso le loro contromisure, cambiando in valute pregiate o in oro, o esportando i loro capitali. Invece i comuni cittadini restano all’oscuro e non possono proteggersi. Intanto l’economia reale agonizza e si gioca una pericolosa partita di potere in cui l’euro è diventato un’arma di dominio.
*Traduzione di Marina Astrologo.
Internazionale, numero 927, 8 dicembre 2011*
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it