C’era da aspettarselo. I drastici tagli imposti alla Grecia da Angela Merkel stanno portando il paese sull’orlo del caos sociale e politico. La Germania non è riuscita a nominare un proconsole per imporre il suo controllo sul governo greco, allora l’ha fatto con il ricatto di non prestare più denaro alla Grecia, condannandola così alla bancarotta. La battaglia per difendere l’euro e le banche tedesche e francesi si combatte fino all’ultimo greco. Tagli di salari e pensionamenti forzati nel settore pubblico, riduzione della spesa pubblica al 6 per cento del pil, diminuzione del salario minimo a 600 euro al mese. Nel 2012 saranno licenziati 15mila dipendenti pubblici e da qui al 2015 circa 150mila. La disoccupazione è al 21 per cento e quest’anno raggiungerà il 26 per cento, mentre diminuiscono i sussidi di disoccupazione.
Il paradosso è che questo brutale programma di tagli non sembra in grado di stabilizzare l’economia greca né di permettere al paese di pagare il suo debito in un futuro prevedibile. Nel 2010 il debito pubblico ammontava al 145 per cento del pil, nel 2011 è al 161,7 per cento. Anche con lo smantellamento di buona parte del welfare, soprattutto in ambito sanitario, si prevede che il debito pubblico sarà ancora del 120 per cento del pil nel 2020, il livello raggiunto nel 2008. Il deficit è dovuto alla spesa ma anche alla recessione dell’economia, aggravata dai tagli. Il pil è sceso del 4,5 per cento nel 2010 e del 5,5 per cento nel 2011, con una diminuzione del 2,8 per cento quest’anno e una previsione di stallo per il 2013.
Quindi il governo deve continuare a vivere di prestiti, pagando tassi d’interesse superiori al 6 per cento: un debito insostenibile. La strategia attuale consiste semplicemente nel permettere al paese di continuare a pagare a tempo indeterminato il suo debito mentre l’economia si disintegra e la società si sfalda. Il governo di coalizione socialista-conservatore guidato dal tecnico Papademos – che era presidente della Banca di Grecia all’epoca in cui Goldman Sachs ha falsificato i conti pubblici – ha imposto l’austerità con alti costi politici. Ma dato che i due grandi partiti sono d’accordo nell’obbedire a Merkel, non esiste un’alternativa all’interno del sistema, anche se il 48 per cento dei cittadini preferirebbe che il paese dichiarasse bancarotta e non pagasse il debito, rispetto al 30 per cento che si oppone alla “soluzione islandese”.
La base politica della grande coalizione continua a diminuire. Oggi i conservatori di Nuova democrazia hanno circa il 31 per cento dei consensi e i socialisti l’otto per cento. I comunisti sono saliti al 12,5 per cento, Siriza (i vecchi eurocomunisti) al 12 per cento, i verdi sono al 2,5 per cento e l’estrema destra al 5. È interessante l’ascesa di Sinistra democratica, guidata da Fotis Kuvelis, che si presenta come un movimento nuovo, lontano dai partiti tradizionali. Ha l’appoggio del 18 per cento degli elettori e potrebbe creare una coalizione alternativa contro i tagli.
Per ora le proteste si moltiplicano e in alcuni casi sono violente. L’equivalente del movimento pacifico degli indignati in Spagna è solo una componente della rivolta. I comunisti e Siriza, altrettanto pacifici, partecipano a manifestazioni e a proteste con i sindacati del settore pubblico. Ma c’è un altro settore in una situazione molto precaria, composto soprattutto dai giovani protagonisti della protesta violenta del dicembre del 2008, scoppiata dopo la morte di Alexandros Grigoropoulos, uno studente di 15 anni ucciso dalla polizia.
Da quella rivolta spontanea dei giovani contro la brutalità della polizia è nata una corrente radicale pronta allo scontro con le forze dell’ordine. La violenza non ha l’approvazione della maggior parte dell’opinione pubblica e danneggia gli obiettivi della protesta. Ma davanti a questa crisi interminabile e alle misure esasperanti imposte dai mercati finanziari e dai leader europei, cresce la voce di chi preferirebbe non pagare il debito, uscire dall’euro e convocare nuove elezioni, perché l’unanimità della classe politica imposta da Berlino e da Bruxelles ha portato il paese in un vicolo cieco. Questi sacrifici potranno solo rinviare il crollo di un’economia che non ha capacità produttive sufficienti per uscire da sola dalla crisi e deve anche pagare gli interessi di un debito esorbitante.
Perché allora tanta insistenza sul salvataggio greco? Ovviamente l’uscita della Grecia dall’euro porterebbe a un attacco della speculazione finanziaria contro la moneta unica, mettendone in pericolo la sopravvivenza. Ma c’è di più: la punizione esemplare dei greci serve da avvertimento agli altri paesi indisciplinati. Ma ci si dimentica che a pagare sono i cittadini, i quali non hanno nessuna colpa dell’origine della crisi.
Invece politici e finanza mantengono ricchezza e potere, razionalizzando per di più il sacrificio degli altri. La tragedia greca (che se continuiamo così sarà anche quella di tutta l’Europa) è economicamente, moralmente e psicologicamente insostenibile. Dai venti che seminiamo oggi potrebbero nascere tempeste inimmaginabili.
*Traduzione di Francesca Rossetti.
Internazionale, numero 937, 24 febbraio 2012*
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