I socialisti spagnoli hanno qualcosa da dire alla sinistra europea
La vittoria di Pedro Sánchez al congresso del Partito socialista spagnolo (Psoe) potrebbe portare dei risultati che vanno oltre l’impatto sul panorama politico del paese. È la dimostrazione che in un mondo di social network e di autonomie locali, gli apparati dei partiti e i loro megafoni nei mezzi d’informazione non sono onnipotenti. Che un altro modello di partito è possibile. Che i militanti contano, e non sono un gregge che si porta a pascolare quando lo dicono gli statuti. Che le primarie sono destinate a restare, anche se gli intellettuali non organici e inadeguati rispetto ai nuovi tempi si ostinano a tacciare di populismo tutti i fenomeni che non rientrano nei vecchi modelli in cui tutto dipendeva dai partiti e soprattutto dalle élite finanziarie, dai mezzi d’informazione e dallo stato.
La possibilità di un Psoe ancorato a sinistra, come ha suggerito Sánchez davanti a migliaia di militanti entusiasti, smentisce i cinici e i commentatori che hanno accolto con favore la cospirazione antidemocratica più incredibile della politica spagnola degli ultimi anni. Sono le stesse persone che dentro e fuori del Partito socialista hanno spinto per l’astensione, permettendo a Mariano Rajoy di governare a capo del partito più corrotto d’Europa, come l’ha descritto la deputata Irene Montero nella sua brillante difesa della mozione di sfiducia.
Mantenere i valori socialisti
L’ondata di rabbia e speranza nata nel 2011 con gli Indignados ha raggiunto anche lo storico Psoe, come ha testimoniato Sánchez appena rieletto. Il punto è che la sconfitta della socialdemocrazia non è inevitabile, ma dipende dalla capacità di mantenere i valori socialisti, che vanno adattati alla nuova società, piuttosto che scegliere una subordinazione pragmatica all’egemonia neoliberista.
In Europa, per esempio, Jeremy Corbyn, deriso da tutti i benpensanti che lo consideravano il rappresentante di una sinistra antiquata, ha rilanciato un movimento di sinistra di giovani e di lavoratori facendo perdere la maggioranza assoluta ai conservatori e aprendo per il laburismo la possibilità reale di vincere con un programma di sinistra. Perché Corbyn non si fa intimorire. Dopo l’incendio della Grenfell Tower a Londra, ha lanciato un appello per requisire gli appartamenti vuoti e destinati alla speculazione dell’elegante quartiere di Kensington, dove si trovava la torre, arrivando a proporre la loro occupazione se il governo non aiuterà chi è rimasto senza casa. Parole accolte con entusiasmo da migliaia di giovani che adesso si interessano alla politica.
Invece il leggendario Pasok greco è scomparso, dopo la sua alleanza con i conservatori durante la crisi; il socialismo olandese, a sua volta tendente a destra, ha appena subìto un’ecatombe, e le politiche neoliberiste di François Hollande, guidate dall’allora ministro Emmanuel Macron, hanno ridotto ai minimi termini il Partito socialista francese, che nel giro di un’elezione è passato dal tutto al niente.
Il Portogallo cresce, socialmente ed economicamente, con un’alleanza di sinistra guidata dai socialisti, e in Spagna il Psoe, con un ampio sostegno dei militanti e degli elettori socialisti, ripone le sue speranze in politiche chiaramente progressiste, in contrasto con le politiche economiche regressive avviate da José Luis Rodríguez Zapatero e ancora sostenute dai leader storici del Psoe.
La strategia proposta da Sánchez al congresso del Psoe dipende troppo dall’aritmetica parlamentare
Ma a differenza del Regno Unito, buona parte dello spazio a sinistra in Spagna è già occupato dagli eredi indiretti del movimento degli Indignados: Podemos e affini. La questione catalana, trasversale a tutte le forze politiche, complica straordinariamente il gioco delle alleanze possibili. In questo senso Pedro Sánchez, la cui priorità è cacciare il Partito popolare (Pp) dal governo, dovrà procedere con cautela. Impossibile tornare al bipartitismo, semplicemente perché il Pp e il Psoe sono votati da una minoranza degli elettori che hanno meno di cinquant’anni.
Sánchez sta riuscendo a recuperare una parte del voto giovane (più tra gli astenuti che tra gli elettori di Podemos) e a mobilitare i più anziani, delusi dall’atteggiamento rinunciatario del Psoe nei confronti di Rajoy. Ma la strategia proposta da Sánchez al congresso del Psoe è problematica, perché dipende troppo dall’aritmetica parlamentare. Sembra che continui a cercare un’impossibile alleanza a tre con Podemos a sinistra e Ciudadanos a destra, che non possono permettersi di coalizzarsi con il Psoe perché i loro elettori non lo accetterebbero.
Coerenza con programmi e promesse
Probabilmente Podemos ha sbagliato, nel marzo del 2016, a non astenersi tatticamente per sconfiggere Rajoy. In ogni caso non avrebbe potuto stare al governo con il Psoe o appoggiarlo dall’esterno. Non è una questione di veti, ma di coerenza con i programmi e le promesse. La nuova politica richiede che gli accordi di potere tengano conto delle scelte politiche. L’importante è il cambiamento della società da cui dipende il parlamento. Sánchez fa bene a cercare accordi puntuali con gli uni e con gli altri per mettere fine all’egemonia del Pp su temi come la riforma del lavoro, la legge bavaglio o la corruzione. Ma un’alleanza strategica a lungo termine per una politica di sinistra passa da una formula alla portoghese.
Il Psoe da solo non può portare avanti questa politica, e non possono farlo neanche Podemos e i suoi alleati. Devono convergere. Ma c’è anche la questione centrale della Catalogna. Non c’è via d’uscita. L’80 per cento dei catalani vuole decidere. Il 53 per cento è disposto a votare al referendum, anche se sarà dichiarato illegittimo. Se il nuovo Psoe/Psc vorrà intraprendere una strada indipendente dall’irredentismo nazionalista spagnolo, dovrà prendere le distanze dal Pp e da Ciudadanos e portare avanti negoziati separati. Sarà un’occasione per valutare la capacità di leadership di Sánchez, oggi depositario di molte speranze.
(Traduzione di Francesca Rossetti)
Questo articolo è uscito sul quotidiano spagnolo La Vanguardia.