×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

Il pugno di ferro contro la Catalogna è un errore

La polizia blocca i manifestanti che sostengono il referendum indipendentista a Barcellona, il 20 settembre 2017. (Emilio Morenatti, Ap/Ansa)

Alla fine dei giochi non c’è stata una trattativa, neanche un cenno. Pura e semplice repressione. Giudiziaria e fisica, come nei moderni regimi autoritari che coprono le loro vergogne con le foglie di fico dei tribunali. E su una scala mai vista nell’Europa contemporanea, con centinaia di dirigenti politici minacciati. Lo stesso succederebbe, potenzialmente, a migliaia di altre persone se si concretizzasse la generica intimidazione rivolta contro i volontari che si sono offerti di aiutare nel referendum.

Ricordiamo che la questione non è reprimere l’indipendenza della Catalogna, ma il semplice svolgimento di una consultazione in cui i cittadini possano esprimersi liberamente sul loro progetto di paese. Non è una distinzione banale perché, secondo alcuni sondaggi affidabili, meno della metà dei catalani sarebbe favorevole all’indipendenza, mentre tre quarti della popolazione sostengono il diritto di decidere.

È difficile capire, in queste condizioni, l’ostinazione del Partito popolare (Pp) e del suo governo nel voler bloccare qualsiasi movimento che porti a un voto libero e regolare. Il governo catalano è accusato di non offrire garanzie sulla regolarità del referendum. Come possono esserci, se mancano i margini di legalità per la sua organizzazione?

La responsabilità dei più forti
Se si seguisse l’esempio di paesi davvero democratici come il Regno Unito con la Scozia o il Canada con il Québec, l’indipendentismo perderebbe il referendum e a quel punto si aprirebbe una trattativa ragionevole per garantire maggiore autonomia alla nazione/nazionalità più dinamica dello stato spagnolo. Ma attenzione, perché il Pp e Ciudadanos sono una macchina che sforna indipendentisti. Se continuano con le umiliazioni e le provocazioni, nel giro di poco tempo lo scontro sarà ancora più acceso e il sostegno all’indipendenza potrebbe diventare irrefrenabile.

Eppure, si ripetono sempre le stesse cose. È la storia della Spagna, stato autocratico nei secoli dei secoli, con il breve interregno di una repubblica subito attaccata dai dèmoni della nostalgia imperiale, e il rattoppo di una transizione democratica che ha fatto strada a una libertà vigilata per chi non era d’accordo con la Spagna monarchica unitaria, nonostante l’articolo 2 della costituzione preveda le autonomie.

Ed eccoci di nuovo qui, in uno scontro aggravato dalla divisione interna della società catalana, dopo un processo gestito disastrosamente dal governo spagnolo e dal nazionalismo catalano. Ma i più forti hanno sempre più responsabilità nei disastri.

Si torna alla politica della paura che ha dominato la nostra storia

Il governo di Madrid si crede astuto con la sua strategia repressiva, messa in atto da tempo. Invece di chiamare in causa le istituzioni del governo autonomo, reprime le persone, usando pubblici ministeri fedeli, giudici e polizia catalana (finché ci riesce) per interrogare, arrestare, giudicare, multare, confiscare e, se necessario, arrestare preventivamente e condannare.

Così, via il dente via il dolore. Anche se si parla di centinaia o di migliaia di persone. Geniale, si dicono. Non useremo carri armati: neutralizzeremo i leader e gli altri rientreranno nel recinto. E se non lo faranno, peggio per loro, perché da qui l’unica via d’uscita è il dominio della legge. Una legge spagnola che milioni di catalani, non quattro agitatori, rifiutano.

Un conflitto prolungato
Si torna alla politica della paura che ha dominato la nostra storia, facendo leva anche sulla corruzione del partito repubblicano catalano (non superiore a quella del Pp), sulla goffaggine del dibattito al parlamento catalano e sugli errori strategici della fragile coalizione indipendentista. Tutto sembra indicare, pensa il premier Mariano Rajoy, che senza pagare un prezzo eccessivo in termini di opinione pubblica nazionale e internazionale sia possibile estirpare l’indipendentismo catalano per un po’ e vincere le elezioni come paladino della Spagna, una grande e libera.

Ma non sarà così facile. Siamo entrati in un conflitto prolungato e di grandi dimensioni. Prima di tutto perché la repressione indiscriminata susciterà solidarietà nella popolazione e nella politica.

Con l’aumento della repressione si intensificheranno altre forme di protesta, sempre pacifiche ma ferme

A cominciare dal primo accordo decisivo con la carismatica sindaca di Barcellona Ada Colau, che sembra aver trovato la formula per rendere possibile il voto senza violare le leggi pericolose per i funzionari pubblici e istituzioni. Anzi: probabilmente molti cittadini indecisi, soprattutto elettori di sinistra, si faranno avanti sull’onda della crescente indignazione nei confronti della violazione di diritti politici che riguardano noi tutti. Non è più questione di indipendenza, ma di dignità.

Con l’aumento della repressione si intensificheranno anche altre forme di protesta, sempre pacifiche ma ferme, che sicuramente innescheranno quell’aumento di repressione della polizia che Rajoy voleva evitare, in parte per non inquietare il Partito socialista (Psoe) che gli sta con il fiato sul collo.

Non è vero, come si sente dire a Madrid, che gli indipendentisti di Candidatura d’unitat popular (Cup) stiano cercando la provocazione. Tutti i catalani sono contrari alla violenza e molti sono preparati a una resistenza gandhiana.

Ma se da un lato i cittadini risponderanno pacificamente agli interrogatori di massa dei sindaci, alle chiusure dei locali, alle perquisizioni sommarie, agli arresti arbitrari, alle interdizioni per decreto, dall’altro le forze antisommossa della polizia catalana e di quella spagnola agiranno meno squisitamente di quanto programmato dai machiavellici di Madrid.

La spirale repressione/resistenza può aggravarsi velocemente. E soprattutto estendersi a tutta la Spagna, dove Podemos e i suoi satelliti, la terza forza politica con il 20 per cento dei voti e una maggiore capacità di mobilitazione, hanno già messo in guardia sullo stato di eccezione che nei fatti Rajoy sta applicando in Catalogna. E anche in Spagna, come dimostra il divieto di una manifestazione sul referendum catalano a Madrid.

La frattura della società catalana può estendersi alla società spagnola, in uno scontro tra rossi e nazionalisti o tra separatisti e unionisti, che ci riporterebbe ai ricordi più tragici. È facile per lo stato usare il suo potenziale di repressione. Più difficile è controllare le conseguenze di un’intolleranza ingiustificata, sintomo dello scarso peso democratico delle nostre istituzioni.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

Questo articolo è uscito sul quotidiano di Barcellona La Vanguardia.

pubblicità