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Il covid impone di ripensare il turismo

Il borgo di Erchie, sulla costiera amalfitana, 24 marzo 2020. (Michele Amoruso)

Come far ripartire la crescita mondiale senza il turismo? È il problema su cui si arrovellano i decisori dell’economia planetaria. Perché è stata proprio la pandemia a dimostrare il ruolo nevralgico di questo settore. Non solo nei paesi a vocazione turistica come l’Italia, la Spagna o l’Austria, dove contribuisce a circa un sesto del pil e dell’occupazione. Il turismo è decisivo per l’economia globale. Senza il turismo si fermano gli alberghi, i ristoranti e in generale tutte le attività legate all’ospitalità. Sparisce l’industria aeronautica, si dimezza quella automobilistica, va in rovina la cantieristica da crociera, riceve un duro colpo l’edilizia. E questi crolli trascinano con sé la siderurgia, il cemento, l’elettronica.

Quando quattro anni fa scrivevo nel libro Il selfie del mondo (Feltrinelli 2017) che il turismo è la più importante industria del secolo, sono stato preso per uno sbruffone che ama spararle grosse. Ora il covid-19 ci ha mostrato quanto quest’industria, di solito trattata con sufficienza, sia essenziale. La sottovalutiamo perché confondiamo il turismo con i turisti, e i turisti sono difficili da prendere sul serio: ci sembrano buffi, letteralmente fuori posto. Li trattiamo sempre con sufficienza e gli attribuiamo i danni del turismo: come se incolpassimo gli operai per gli avvelenamenti causati dalle fabbriche. Ma siamo tutti turisti che disprezzano gli altri turisti.

Questo paradosso mostra quanto sia irrisolta la nostra relazione con il settore e quanto sia superficiale pensare che basti un virus a decretare la scomparsa di quest’invenzione della modernità, incubata per un secolo e mezzo ed esplosa nel secondo dopoguerra. Per creare il turismo sono state necessarie due rivoluzioni. Una tecnologica: la rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni, che ha reso i viaggi possibili, rapidi ed economici. L’altra sociale, che ha creato i viaggiatori. E che è stata il frutto di durissime e interminabili lotte per la conquista del tempo libero retribuito. Perché gli esseri umani diventino turisti non basta che abbiano tempo libero: i disoccupati ne hanno tanto. Mai nella storia umana prima di Bismarck in Germania, del new deal negli Stati Uniti e del Fronte popolare in Francia, un ampio strato di popolazione aveva goduto di reddito in periodi di non lavoro, cioè di ferie in età lavorativa e di trattamento pensionistico dopo. Oggi almeno il 95 per cento dei turisti è in ferie retribuite o gode di una pensione.

Queste due rivoluzioni hanno trasformato non solo la nostra vita, ma anche le nostre categorie mentali. Hanno fatto della possibilità di viaggiare l’elemento cardine della nostra idea di libertà. Ora con la pandemia sentiamo quanto ci manca il non poter cambiare aria, il non poter andare altrove (non importa dove). La volontà di viaggiare è rivendicazione di libertà.

Prima del covid-19 in occidente non ce n’eravamo resi conto, eppure avremmo dovuto saperlo, visto che in Germania Est fu proprio una richiesta di visti turistici la scintilla che provocò il crollo del muro di Berlino nel 1989. Non ci eravamo accorti che l’esigenza di muoversi e sperimentare altri orizzonti fosse così intensamente politica. Solo la reiterata, prolungata chiusura della seconda e della terza ondata della pandemia ci ha fatto sentire sulla nostra pelle l’impossibilità di viaggiare come una prigionia: per la prima volta ci siamo messi nei panni dei tedeschi dell’est. Impedire ai cittadini di essere turisti significa privarli di un elemento qualificante della loro idea di libertà.

Ma qui cadiamo in una seconda contraddizione (dopo quella di noi turisti che disprezziamo i turisti): è vero che il turismo è un componente indispensabile della nostra libertà, ma è anche un’industria doppiamente inquinante. Innanzitutto perché, alimentando altre industrie, il turismo è dietro tutti gli inquinamenti che queste producono. E poi perché, in quanto industria sociale, produce un “inquinamento umano” (svuotamento dei centri urbani, trasformazione del mondo in una grande Disneyland, sfiguramento degli ecosistemi). È una contraddizione insanabile che ci porta a una sola conclusione: la nostra concezione di libertà è un’idea che consuma il mondo. È ineluttabile che una società basata sul consumo debba esercitare quest’attività sul mondo in cui viviamo, e cioè consumare il pianeta.

Come se niente fosse
Ecco perché è così difficile fare a meno del turismo e allo stesso tempo conviverci. È fortissima la spinta a far ripartire l’economia come se non fosse successo niente: nel 2019 69 milioni di voli avevano solcato la nostra atmosfera. Noi sottovalutiamo la nostra capacità di dimenticare, che rende patetica l’illusione mille volte ripetuta del “niente sarà come prima”. Nel 1918 gli esseri umani erano sicuri che quella appena finita era stata “l’ultima guerra che avrebbe posto fine a tutte le guerre”. Dopo la crisi finanziaria del 2008 molti autorevoli economisti ci assicurarono che il capitalismo non sarebbe stato mai più come prima. Ci sia permesso di dubitare che dopo questa pandemia “niente sarà più come prima”. Anche perché la diversità che si prospetta non è molto promettente.

Ma per quanto l’umana smemoratezza voglia ricominciare tutto da capo, non sarà facile ripartire come se niente fosse. E tanto meno lo sarà quanto più lo stato d’eccezione sarà lungo: più mesi (anni?) durerà il blocco, più imprese falliranno, più catene di rifornimento saranno interrotte, più filiere si bloccheranno, più addetti si ricicleranno in altri settori. Soprattutto, verrà meno la fiducia degli investitori, che più difficilmente si lasceranno convincere a scommettere su un settore alla mercé di un virus. Non sappiamo se finirla presto con il lockdown e ricominciare a inquinare subito o se restare depressi e prigionieri un po’ più a lungo, ma dare un attimo di sollievo al pianeta.

Questo articolo è uscito sul numero 1401 di Internazionale con il titolo “L’industria più importante del secolo”. Compra questo numero | Abbonati

Da sapere
Una crisi profonda

Viaggi e turismo sono i settori più colpiti dal covid-19. I rapporti dell’Organizzazione mondiale del turismo (Unwt), che raccoglie ogni anno dati relativi agli spostamenti nel mondo, evidenzia l’impatto della pandemia sul settore.

  • Gli arrivi di turisti internazionali sono diminuiti del 74 per cento nel 2020 rispetto all’anno precedente a causa delle diffuse restrizioni di viaggio e di un massiccio calo della domanda. Il crollo dei viaggi rappresenta una perdita stimata di 1.300 miliardi di dollari, più di 11 volte la perdita registrata durante la crisi economica globale del 2009.
  • L’Asia e il Pacifico hanno registrato una diminuzione dell’84 per cento degli arrivi internazionali nel 2020, circa 300 milioni in meno rispetto all’anno precedente. Il Medio Oriente e l’Africa hanno entrambi registrato un calo degli arrivi del 75 per cento. In Europa gli arrivi sono diminuiti del 70 per cento, mentre le Americhe hanno subìto una perdita del 69 per cento.
  • Secondo il World travel & tourism council (Wttc), circa l’80 per cento delle attività turistiche – dagli hotel ai ristoranti alle guide turistiche – è composto da piccole aziende, per le quali sopravvivere alla crisi senza capitali d’investimento risulta complicato.
  • La maggior parte degli esperti non vede un ritorno ai livelli pre-pandemici prima del 2023. I viaggiatori prendono in considerazione le destinazioni più vicine a casa nelle prime fasi della normalizzazione del viaggio e per i viaggi internazionali sono ancora in atto importanti restrizioni, ed è quindi probabile che i paesi con quote più elevate di turismo interno si riprendano prima e più velocemente. Tuttavia, questa dinamica rischia di favorire mete già affermate a discapito dei paesi poveri, dipendenti in massima parte dagli arrivi internazionali. Infatti, per i piccoli stati insulari in via di sviluppo, il turismo è un pilastro sia sociale sia economico, per alcuni equivalente pari fino all’80 per cento delle esportazioni totali. Le conseguenze della crisi potrebbero essere gravi sia dal punto di vista sociale sia da quello economico.
  • Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico il turismo si riprenderà gradualmente ma sarà di certo pensato in modo più sostenibile: sanità e sicurezza saranno dei requisiti importanti, affollamenti contenuti e una migliore distribuzione dei visitatori saranno utili anche alla tutela dell’ambiente. – Unwt

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