Come i telefoni possono salvare la vita ai profughi
Molti di noi pensano di non poter vivere senza internet o telefono cellulare, ma per i migranti l’accesso alle tecnologie digitali può essere davvero una questione di vita o di morte. Numerosi articoli e servizi hanno sottolineato quanto gli smartphone siano essenziali per i profughi che li usano nel corso dei loro pericolosi tragitti, per contattare familiari dispersi o trovare un luogo sicuro prima che arrivi il buio.
Concentrarsi su un’unica forma di tecnologia, però, ci fa perdere di vista il quadro generale. I social network, le app, le mappe online, la messaggistica istantanea, i siti per le traduzioni, i money transfer via cavo, le postazioni per caricare i telefoni e i punti wifi hanno dato vita a una nuova infrastruttura per gli spostamenti, importante tanto quanto le strade o le ferrovie.
Nel loro insieme, queste tecnologie hanno creato una specie di “percorso digitale” che accelera il passaggio di persone da paesi come la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan verso la Grecia, la Germania, la Norvegia. Gli strumenti che permettono l’esistenza di questo percorso offrono diversi vantaggi, ma vengono usati anche per sfruttare i profughi e pongono interrogativi sul controllo delle telecomunicazioni.
Mentre il mondo intero si commuoveva davanti alle foto di Aylan Kurdi, il bambino siriano annegato al largo delle coste turche lo scorso settembre, siamo stati informati del fatto che il padre del bambino stava scrivendo un messaggio alla cognata a Vancouver mentre la barca lasciava il porto. Tramite sistemi elettronici i parenti mandavano soldi dal Canada per pagare i trafficanti, che spesso si coordinano tra loro usando strumenti digitali. Come direttore della Annenberg technology and human trafficking initiative della università del South California negli ultimi cinque anni ho visto molti esempi del lato oscuro degli strumenti digitali.
I telefoni e i servizi di messaggistica come Viber sono strumenti molto importanti per i trafficanti
I trafficanti di esseri umani usano le stesse tecnologie che usiamo noi ogni giorno per trarre profitto da coloro che cercano disperatamente una vita migliore. In Libia ed Egitto usano Facebook per pubblicizzare “viaggi in Italia”. I telefoni e i servizi di messaggistica come Viber sono strumenti molto importanti per i trafficanti a cui permettono di organizzare imbarcazioni, camion o sistemazioni illegali. Molti profughi sono isolati, privi di documenti e inconsapevoli, e per questo sono più vulnerabili ai reati resi possibili dalle connessioni via internet.
Al tempo stesso, strumenti come WhatsApp e Skype rappresentano un’ancora di salvezza digitale. Di recente ho parlato con un funzionario norvegese in servizio a bordo di una nave che risponde alle richieste di aiuto lanciate dai profughi dalle imbarcazioni a rischio di affondare nel Mediterraneo. A differenza delle grandi migrazioni degli anni passati, la registrazione ai social network e la connessione alle reti wifi generano dati sui profughi, oltre che sui trafficanti.
Società come Facebook, Vodafone e Western Union raccolgono e analizzano questi dati per finalità commerciali. Yahoo, Google e altri stanno iniziando a pensare a come la tecnologia possa aiutare ad affrontare in modo diretto le questioni poste dalla crisi dei migranti. Governi, polizie e agenzie per i profughi raccolgono a loro volta una grande quantità di informazioni personali. A novembre, nella zona dei Balcani occidentali, ho osservato come si raccolgono i dati ai valichi di frontiera ufficiali. Nomi, fotografie, età e paesi d’origine di migliaia di persone che attraversano le frontiere vengono raccolti diverse volte nel corso del tragitto dei migranti.
Le polizie di frontiera nazionali e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) usano le tecnologie biometriche per raccogliere impronte digitali e scansioni oculari. Altri governi europei e compagnie di contractor militari usano strumenti avanzati come immagini satellitari, droni e piattaforme per l’analisi di dati per seguire e monitorare le persone che attraversano i confini. Funzionari e operatori umanitari potrebbero usare questi dati per fornire i servizi necessari ai profughi.
Si sarebbe indotti a pensare che possano essere usati anche per identificare individui che potrebbero rappresentare una minaccia alla salvaguardia e alla sicurezza. Nel mese di luglio l’Europol ha cominciato a monitorare i social network a caccia di trafficanti e di terroristi.
I dati si prestano a generare profili in modo tale da rastrellare innocenti accanto a sospetti
Tuttavia, ci possono essere anche delle conseguenze non previste. Un esempio è il classico problema dell’ago nel pagliaio. Trovare una persona sospetta richiederebbe una sorveglianza estesa a tutti quelli che usano questi servizi. Se i dati possono contribuire a identificare individui con precedenti penali, le piattaforme che li analizzano sono meno precise nella previsione dei comportamenti. I dati si prestano a generare profili in modo tale da rastrellare innocenti accanto a sospetti.
La questione se le grandi aziende tecnologiche dovrebbero condivide i dati con i governi e le polizie resta motivo di tensione, soprattutto in Europa. Un’altra preoccupazione deriva poi dalla capacità di assicurarsi che le informazioni personali sui migranti non vadano a finire nelle mani sbagliate.
I profughi sono tra le persone più vulnerabili al mondo. Numerosi studi hanno dimostrato come indebite forme di sorveglianza sui gruppi marginalizzati possano spingerli all’isolamento. Timori percepiti o reali sulla raccolta dei dati potrebbero indurre i migranti a seguire tragitti non autorizzati verso destinazioni europee. Questa strategia di elusione potrebbe farli diventare invisibili ai funzionari e più vulnerabili rispetto alle organizzazioni criminali. La raccolta dei dati sui profughi dovrebbe mantenere un equilibrio tra la sicurezza pubblica e la necessità di salvaguardare la dignità e i diritti umani.
Governi e agenzie devono essere responsabili quando raccolgono i dati sui migranti. Le compagnie tecnologiche dovrebbero essere consapevoli del fatto che le loro piattaforme sono usate anche dai trafficanti, e creare migliori misure di sicurezza. Mentre i governi e i leader si coordinano per rispondere alla crisi, è necessario mettere in campo adeguati strumenti di salvaguardia dei dati e nuove tecnologie che garantiscano che il percorso digitale dei migranti sia sicuro.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato dalla Thomson Reuters Foundation.