La composizione tipografica dei testi è probabilmente l’ultima cosa che il lettore nota in una rivista. È giusto che sia così: si dovrebbero notare i contenuti, non l’aspetto tipografico. Ma per un grafico editoriale il testo è l’elemento più importante della rivista, la base su cui poggia tutto.
I primi giornali sceglievano semplicemente il carattere più piccolo a disposizione del tipografo. I libri hanno sempre preso la leggibilità più seriamente. Le riviste sono a metà strada. Ma ogni testo che leggete dovrebbe essere il risultato di una serie di attente decisioni del grafico.
Quanto dovrebbe essere larga la colonna? L’ideale è tra i 40 e gli 80 caratteri.
Quale font? Non dovrebbe avere troppo contrasto o carattere. I font con le grazie sono più leggibili di quelli senza. Quelli con lunghi ascendenti e discendenti vanno bene nei libri, dove c’è spazio a sufficienza tra una riga e l’altra, ma non nei giornali, che hanno blocchi di testo più densi e compatti.
Che dimensione? A seconda del font, il corpo 8 di solito è il minimo per una buona leggibilità, mentre quando si va molto al di sopra del 10 il testo comincia ad apparire troppo grande. Quanto spazio tra una lettera e l’altra? E tra le parole? Le possibili variazioni sono infinite.
Un buon aspetto tipografico è il cuore di una grande rivista e il modo migliore per il grafico di mostrare rispetto per il lettore.
Secondo me lo standard è fissato dal New Yorker, che usa il Caslon su una colonna relativamente stretta ma con un’interlinea generosa. Una rivista in cui grandi contenuti ricevono la composizione tipografica che meritano.
*Traduzione di Nazzareno Mataldi.
Internazionale, numero 800, 19 giugno 2009*
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