Alla Coca-Cola di Nogara i rapporti tra azienda e lavoratori sono sempre più spietati
Le cronache dal mondo del lavoro emergono nel racconto quotidiano solo quando si trasformano in tragedia, come quella dell’operaio che si è suicidato a Torino per la troppa fatica. Il disagio collettivo viene ridotto a questione privata.
Molto meno raccontati sono i rapporti di forza – spietati per lo più – tra grandi imprese e lavoratori, e che si esprimono spesso attraverso aziende di comodo, il più delle volte appaltatrici di attività funzionali a quella strettamente produttiva. Come nel caso della Coca-Cola di Nogara in provincia di Verona, sede del più grande stabilimento del sud Europa della multinazionale statunitense.
La vicenda che ha interessato lo stabilimento di Nogara svela la struttura della nuova organizzazione del lavoro e del ruolo della logistica nella catena globale del valore. La Coca-Cola è infatti una multinazionale che produce in tutto il mondo, attraversa i confini territoriali dei singoli stati e avalla lungo la filiera nuove regole di organizzazione della produzione, in aperto contrasto con gli assetti contrattuali e le norme vigenti in materia di occupazione.
Il settore della logistica diventa l’ambito privilegiato in cui avvengono queste trasformazioni, proprio perché si colloca tra la produzione e il consumo.
Nuovi contratti e licenziamenti
Quella di Nogara è una storia come molte altre che è bene raccontare per esteso. Dall’inizio di marzo 45 lavoratori sono in sciopero per le conseguenze del cambio d’appalto del servizio di logistica dello stabilimento. Il cambio ha comportato il licenziamento di quattordici lavoratori e la modifica del contratto a tempo indeterminato nella versione a tutele crescenti introdotta dal jobs act nel 2015. Dal momento che avrebbero perso le tutele dell’articolo 18, una trentina di operai (su 77) hanno deciso di non firmare l’accordo. Per questo il precedente appaltatore li ha messi in mobilità, compromettendone di fatto la riassunzione da parte di Vega
Tra le ragioni dello sciopero c’è anche la solidarietà tra lavoratori e l’opposizione alla deriva antisindacale del consorzio. I quattordici lavoratori licenziati in tronco con il cambio d’appalto formano una vera e propria lista di proscrizione: sono i più attivi nelle battaglie portate avanti negli ultimi anni da AdlCobas, le battaglie che hanno garantito ai lavoratori – gli stessi di oggi – la piena applicazione del contratto nazionale della logistica, la cacciata di un caporale che fino ad allora aveva gestito in maniera illegale le assunzioni, il riconoscimento dell’inquadramento al terzo livello invece che al sesto come voleva l’azienda (questi lavoratori usano, per la movimentazione delle merci, dei carrelli a sei forche e dunque hanno diritto a una qualifica elevata, che porta con sé un aumento della retribuzione).
Sta di fatto che l’incalzante attività sindacale a tutela dei diritti dei lavoratori non pare essere accettata dal subappaltatore, e il miglior modo per disfarsene sono i licenziamenti, senza alcuna ragione economica, durante il cambio d’appalto. Tutti i lavoratori in stato di agitazione sono iscritti all’Adl Cobas. Dai primi di marzo scioperano per se stessi ma anche in solidarietà con i colleghi licenziati in tronco.
Da parte della Coca-Cola e del consorzio Vega nessun cedimento: i licenziamenti così come la mobilità per chi non vuole firmare il contratto rimangono. Rifiutano addirittura un incontro con le istituzioni locali, pur di non ammettere che l’economia non c’entra nulla.
Ovviamente i lavoratori e le loro famiglie non sono disposti ad accettare, dopo anni di lotte e vittorie conseguite, un arretramento nei loro diritti, consapevoli dei profitti della Coca-Cola, di una produzione mai entrata in crisi. Il giro di vite con l’introduzione del contratto a tutele crescenti permette invece al consorzio Vega di esercitare con maggior discrezione la sua autorità facendo leva sul ricatto occupazionale: sarà più facile licenziare, senza l’obbligo del reintegro, tutti coloro che si oppongono alle disposizioni dell’azienda, qualsiasi esse siano.
Pistole elettriche contro chi sciopera
Dall’autorità alla violenza il passo è breve come raccontano le vicende dell’ultima settimana. Il 29 marzo, il presidio dei lavoratori decide di occupare il piazzale del magazzino e uno dei due cancelli da cui escono i camion per la distribuzione delle merci. La Vega sa e raccoglie fin dalle prime ore della mattina tutto il personale di sicurezza, quelli del turno di notte e i colleghi che avrebbero dovuto garantire il cambio la mattina; con loro però ci sono degli altri “vigilantes” mai visti prima dai lavoratori.
In tutto sono una ventina – come raccontano i lavoratori – contro i sette che normalmente garantiscono la sicurezza (privata).
La tensione sale e, come riportano i lavoratori nonché i segni sui loro corpi, la sicurezza privata reagisce al presidio utilizzando le pistole elettriche, i taser, su una donna e su un lavoratore che tentava di raggiungere la donna – moglie di un altro operaio (nota bene: i taser sono un’arma illegale secondo la legge italiana).
La minaccia della cassa integrazione indica la strategia di mettere i comparti produzione e logistica uno contro l’altro
Ma se finora la Coca-Cola aveva declinato ogni responsabilità, dal momento che i lavoratori sono in appalto, durante il weekend ha voluto pronunciarsi. L’intenzione dell’azienda, come riporta il quotidiano L’Arena, è quella di interrompere la produzione e mettere in cassa integrazione i 450 lavoratori al fine di “ristabilire la legalità” che viene ostacolata creando un danno economico all’azienda. L’attività illegale sarebbe la protesta dei lavoratori della logistica, non l’utilizzo dei taser o la lista di proscrizione. Inoltre, l’accusa di danno economico è relativamente infondata dal momento che i camion del trasporto merci non sono stati finora bloccati.
Si tratta di una reazione intransigente dell’azienda madre di fronte alle rivendicazioni operaie, e di un sostegno incondizionato al subappaltatore. Allo stesso tempo la minaccia della cassa integrazione per gli operai del comparto produzione indica una strategia precisa che tende a mettere l’uno contro l’altro i lavoratori: quelli della logistica e quelli della produzione.
La risposta di alcuni sindacati è stata debole.
La Uil, sindacato sottoscrittore dell’accordo previsto dal nuovo appalto, sostiene che per i quattordici lavoratori licenziati è prevista comunque la “ricollocazione in altri appalti della stessa cooperativa, entro un raggio di 40-50 chilometri e a parità di retribuzione”. Oltre al danno – ossia il licenziamento strettamente legato a motivi politici prima ancora che economici – si aggiunge così la beffa di lavorare più lontano a parità di salario. E, sottolineano i lavoratori, un ulteriore cambio di appalto potrebbe determinare il licenziamento di tutti.
È la rottura del nesso tra lavoro e impresa, che scarica il rischio legato alla sua attività sulle spalle del lavoratore
Appare ambigua anche la posizione della Filt-Cgil di Verona che definisce le proteste di Nogara strumentali agli interessi di pochi mentre difende i diritti dei lavoratori di Mondo Convenienza, vittime anche loro dell’ennesimo cambio d’appalto al ribasso.
Il caso Nogara è esemplare di un capitalismo contemporaneo, in cui il settore della logistica assume dimensioni via via sempre più rilevanti. Intermediazione di manodopera, filiera di cooperative, subappalti, frammentazione: tutto questo porta a eludere i contratti collettivi e a scindere le responsabilità degli imprenditori nei rapporti di lavoro dipendenti.
Nel caso della Coca-Cola questa tendenza è evidente in tre passaggi: il primo livello di appalto è affidato dalla Coca-Cola alla Kuehne Nagel che gestisce dal 2011 tutta la logistica, che però è a sua volta appaltata al Consorzio soluzioni globali, il quale, specializzato in movimentazione merci, agisce come consulente della prima e subappalta a una cooperativa del consorzio Vega servizi.
Libertà e disciplina
Un assetto produttivo legato strettamente al ruolo delle multinazionali e dei monopoli privati nell’economia globale. Si assiste infatti alla concentrazione a monte del capitale produttivo e finanziario, e alla dispersione a valle delle tensioni nella catena produttiva e nell’organizzazione del lavoro. È la rottura del nesso tra lavoro e impresa, in cui quest’ultima rompe gli oneri contrattuali che la legano al lavoro, scaricando il rischio connesso all’attività d’impresa sulle spalle del lavoratore.
La proprietà dei mezzi di produzione è concentrata in mani diverse per assicurare il massimo profitto senza rispondere di norme fiscali e contratti di lavoro. Grande libertà per le imprese e tanta disciplina sul lavoro per garantire il massimo di redditività. Quando la disciplina sugli orari e il controllo dei tempi di lavoro non sono direttamente assegnati alle piattaforme digitali, il ricorso alle cooperative e ai rapporti di intermediazione di manodopera sono l’unica strada per garantire lauti profitti sulla pelle dei lavoratori.
Un quadro che è ulteriormente rafforzato dai rapporti tra la multinazionale e le istituzioni politiche. Nel caso dello stabilimento di Nogara, la Coca-Cola ha ottenuto dalla regione Veneto una concessione per utilizzare tre pozzi d’acqua, pagando una cifra notevolmente più bassa (13.406 euro) rispetto alla tariffa normale che ammonta a 600mila euro: uno sconto enorme con cui la regione ha consentito alla multinazionale di aumentare i suoi profitti a discapito della comunità e dei lavoratori.
La risposta della Coca-Cola a questo articolo.