Cos’è. È il film diretto da Bennett Miller e interpretato da Steve Carell, Mark Ruffalo e Channing Tatum che racconta la storia vera della squadra di lotta libera creata negli anni ottanta dal milionario John E. du Pont, l’erede di una delle dinastie più ricche d’America, insieme ai campioni olimpici Mark e David Schultz. I due Schultz vengono da una famiglia sfibrata e vivono in un contesto sociale umile e dolente. L’arrivo nella loro vita di un uomo ricchissimo, determinato ed emotivamente instabile costituisce una rivoluzione e insieme un trauma. Il regista è quello di Truman Capote e Moneyball, mentre il direttore della fotografia è l’australiano Greig Fraser, già apprezzato in Zero dark thirty. Il film è stato candidato a cinque Oscar ma non ne ha vinto nessuno. La casa di produzione è Annapurna, di proprietà di Megan Ellison, nata nel 1986 e figlia di uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti.
Com’è. Foxcatcher è un film drammatico tutto maschile incentrato su tre personaggi principali, e racconta una storia nota agli appassionati di sport; lo fa senza passare mai per la società, stando vicino alla bolla costituita dai due fratelli e da du Pont, un piccolo nucleo che cerca di essere familiare e non trova pace. Nella fotografia a luci basse e nei colori morbidi di Fraser il film frequenta case, stanze e palestre dove si parla a voce bassa e ci si allena. Fuori sembra voglia fare sempre buio presto, e la grande tenuta dei du Pont è più vuota che ampia, spietata nel mostrare quanto poco spazio ci sia per i sentimenti.
Bennett Miller, libero dalla verbosità ingombrante di Aaron Sorkin, si lascia alle spalle la freddezza di Moneyball e riesce a raccontare una storia morbida, calda, affettuosa. Ruffalo e Tatum recitano con poche parole, leggermente curvi nelle spalle, come se sbuffare carponi con la testa bassa, muoversi poco e sudare molto fosse l’unico modo che conoscono per stare al mondo. Steve Carell affronta il ruolo più difficile, quello del magnate viziato e instabile, e lo fa stando lontano dalla macchietta, con un trucco che gli altera i connotati ma gli attribuisce una fissità enigmatica, inquietante, di lettura impossibile.
Perché vederlo. Capita spesso che Hollywood produca dei film che non possono permettersi troppe sfumature: tutto quello che succede è chiaro e netto e intelligibile, tanto da risultare magari molto concluso e soddisfacente, ma privo di quel coinvolgimento un po’ più simile alla vita. Non è il caso di Foxcatcher. Questo è un film drammatico che sembra avere più anni della storia che racconta: sembra un film degli anni settanta, il periodo in cui Hollywood, persi i registi della generazione storica, si aprì ai giovani sperimentatori e trovò toni e approcci nuovi. È un film assolutamente equilibrato che vive di un tocco stupefacente, sobrio, mai giudicante mentre racconta la storia di tre persone che cercano di trovare una strada percorribile per la felicità. Viene in mente un capolavoro come Il cacciatore di Michael Cimino per la capacità di essere dolcissimo e intenso, ma mai stucchevole o melodrammatico. In tutto il film non esiste un solo momento in cui il patriottismo esibito da “Eagle” du Pont suoni come tale, né una caduta retorica sulla fatica degli atleti: i tornei e l’aspetto sportivo della storia sono strumenti per ottenere risultati diversi da quelli apparenti.
Spiace che un film come questo non abbia vinto nessun premio agli Oscar, ma c’era molta concorrenza, e Annapurna è una società di produzione un po’ isolata. Foxcatcher è un gran bel film con grandi attori, regia solida e discreta, scrittura impeccabile, clima e tono di raro impatto; nel contempo non rinuncia a un senso drammaturgico classico che emoziona e commuove con naturalezza, senza giochi di prestigio o minimalismi da artista. È molto difficile essere emotivamente generosi nella sobrietà assoluta, e questo film ci riesce.
Perché non vederlo. Non è un film sportivo, se è quello che cercate, di quelli con la fatica, l’allenamento, il superamento degli ostacoli, le crisi e il gran finale, anche se potrebbe sembrarlo. Poi è un film drammatico che racconta una storia sorda e triste, e magari non avete voglia di farvi immalinconire.
Una battuta. “Ornitologo, filatelico, filantropo…”.
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