Horizon. Zero dawn

Lo studio olandese Guerrilla è diventato famoso con la serie di sparo in prima persona Killzone, fascinosa, cupa e futuristica, ma non troppo innovativa per l’impianto. Questo nuovo progetto è la cosa più bella vista alla fiera quest’anno: un gioco che, quando uscirà ai primi di marzo del 2017, sposterà di un gradino verso l’alto il livello generale, e in particolare per i giochi d’azione in terza persona.

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In Horizon. Zero dawn la specie umana non è più la specie dominante da diversi millenni. Mentre il pianeta veniva occupato da una genia di grandi robot simili a dinosauri, gli uomini sono tornati a uno stato tribale. Ora sono animisti e vivono sullo stesso pianeta delle macchine, senza primeggiare ma in modo abbastanza pacifico, un po’ come fanno i cervi con noi. Il gioco racconta la storia di Aloy, una ragazza che è costretta a cambiare le cose e abbandonare la vita pacifica del villaggio, dopo che un gruppo di macchine comincia a dare segni di squilibrio e ad attaccare sistematicamente sia gli uomini sia le altre macchine.

Aloy è un personaggio splendido, una ragazza determinata ma riservata, che sembra non potersi fidare troppo dei propri simili, con una personalità che già ora, per quello che si è visto, sembra molto sfaccettata. I paesaggi sono semplicemente mozzafiato, e la bellezza delle macchine le rende sì temibili ma anche meravigliose. Horizon. Zero dawn è un’avventura spettacolare ed esteticamente impeccabile, un gioco di ruolo in cui parlare con i personaggi che s’incontrano, muoversi in un grande mondo aperto e raccogliere oggetti fondamentali per combattere contro le macchine, domarle, scoprire perché sono diventate così ostili.

We happy few

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Durante la seconda guerra mondiale su un’isola immaginaria dell’arcipelago britannico, Wellington Wells, è stato commesso un crimine contro l’umanità, un’atrocità collettiva forse reputata necessaria per la vittoria finale. L’isola è quindi diventata un problema: i suoi abitanti, tormentati dalla memoria, sono testimoni viventi di un orrore di stato. Per questo è stata inventata una medicina che rende felici e cancella la memoria, che si chiama joy. Chi vive a Wellington Wells vive in un mondo di gioia e leggerezza, costantemente sotto l’effetto del joy. Nel retrofuturo distopico di un 1964 pieno di estetica modernista dell’epoca, s’interpretano personaggi traumatizzati e molto poco eroici, il cui scopo è sopravvivere in un ambiente che li considera pericolosi deprimenti, “downer” da togliere di mezzo. In città sempre nuove e diverse, generate in modo procedurale, bisogna mescolarsi ai cittadini sorridenti dell’isola mentre si cerca di indagare più in profondità sul passato e trovare un modo per andarsene dall’isola.

Il gioco, uno dei più premiati di questo E3 soprattutto per estetica e soggetto, è sviluppato dallo studio Compulsion games di Montreal. We happy few uscirà il 26 luglio in versione non definitiva per gli utenti pc della piattaforma Steam che vogliono provarlo, e poi ufficialmente per Xbox One, Windows, Mac e Linux in autunno.

Detroit. Become human

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David Cage (David De Gruttola, Mulhouse, 1969) è un autore di videogiochi atipico: negli anni si è specializzato in una forma videoludica che è vicina al cinema e ai libri game, e si basa su un impianto narrativo molto forte, nel quale il giocatore si muove progressivamente tramite scelte che aprono delle strade e ne chiudono altre, secondo il concetto delle sliding doors. Lo studio Quantic Dream di Parigi, gestito insieme al suo socio Guillaume de Fondaumière, ha prodotto negli anni Fahrenheit, Heavy rain e Beyond. Due anime. Detroit. Become human è il nuovo figlio della visione di Cage di giochi senza punteggio, senza vite aggiuntive, senza nessuno che sistematicamente corra, salti o spari. I suoi sono sì videogiochi, ma sono diversi sia nella forma sia nella sostanza. Le storie si dipanano in maniera diversa a seconda delle scelte e dell’abilità del giocatore, il che produce una complessità di scrittura e una mole di invenzione non indifferente; in alcuni casi i titoli di Cage hanno tenuto botta fino in fondo, e altre volte il livello dei presupposti non è rimasto costante per la durata del gioco.

Detroit. Become human è una storia di robotica classica ambientata a Detroit in un futuro non troppo distante nel quale i robot antropomorfi fanno parte della società, con tutti i problemi sociali e morali che ne derivano. Il tema ricorda un po’ quello della serie svedese Äkta människor (Real humans).

Da quando Io, robot di Isaac Asimov ha affrontato l’argomento, sappiamo che gestire la morale delle macchine è una cosa complicata. Aggiungiamo il lavoro di Philip K. Dick e Ridley Scott sul tema incarnato da Blade runner, quello dell’autocoscienza robotica, e otteniamo il cuore dei riferimenti di Detroit. Il gioco è realizzato con un nuovo motore grafico di qualità notevole, uscirà per Ps4 e impone al giocatore di operare scelte continue senza guardarsi indietro. Dei diversi personaggi del gioco, per ora sono stati svelati Kara, protagonista del primo video di lancio, di diversi mesi fa, e Connor, l’androide agente di controllo di suoi simili difettosi. I personaggi possono riuscire o fallire, possono perfino morire, e al limite usciranno dal flusso della storia senza però interromperla.

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