Sa essere carino Matteo Renzi. Davanti alla direzione del Partito democratico dice: “Questo non è un processo al governo”. Verissimo. Infatti abbiamo direttamente assistito alla lettura della sentenza: è una palude. E Renzi si appresta a uscire dalla palude con un freddo ringraziamento a Letta per “il lavoro svolto”.

Certo, il segretario del Pd smentisce tutto quello che ha detto nelle ultime settimane, i giuramenti sulla sopravvivenza del governo Letta, la promessa che lui sarebbe andato a palazzo Chigi solo passando per il voto popolare. “Che me ne frega delle mie chiacchiere di ieri”, diceva il cancelliere tedesco Konrad Adenauer. Anche Matteo sembra di pensarla nella stessa maniera.

Va però detto che il suo ragionamento almeno a prima vista è più che plausibile. Il governo ha fatto poco per dare agli italiani la sensazione di una ripartenza della politica e soprattutto del paese. E in prospettiva il partito che rischiava di più, essendo la prima forza in quella coalizione nata solo per mancanza di alternative, era senz’altro il Pd.

Va anche detto che Letta si trovava a capo di quel governo non per un mandato degli elettori, ma perché designato dal Pd. Per giunta da un Pd del tutto diverso di quello, renziano, di oggi. Quindi nessuno scandalo se il primo partito della coalizione decide di porre fine a quell’esperienza e a tutta una stagione di governi nati dall’emergenza in cui i

democrats si sobbarcavano il rischio di farsi sacrificare sull’altare della patria.

Fin qui il discorso di Renzi fila liscio. La grande incognita è il futuro. Dopo la conquista della segreteria del partito e dopo il lancio della riforma elettorale, defenestrando Letta si è messo di nuovo in scena come politico energico, un protagonista dalle decisioni nette, brusche, rapide.

Ma rischia che sia la sua ultima occasione per farci vedere quella parte. Renzi rischia grosso, e sembra che lo sappia. Non a caso, e non per civetteria, lo ha detto in direzione. Già ha potuto sperimentare quanto è facile perdersi nelle paludi della politica: la sua promessa di riforma elettorale si è già mezza incartata. Adesso invece si dovrà confrontare tutti i giorni con una coalizione in cui gli alfaniani e i montiani rimangono indispensabili. E con gruppi parlamentari del Pd in cui una buona metà è tutt’altro che fan del segretario.

In breve: Renzi ha solo questa carta. Se la brucia, è bruciato anche lui. Sarebbe un esito drammatico, al di là della persona di Renzi. Dopo di lui non si intravede nessuna alternativa all’interno del Pd. Rischia grosso Renzi, ma rischia grosso anche il Pd, l’ultimo partito strutturato rimasto sulla scena della politica italiana.

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