Il 25,7 per cento dei voti alle elezioni per il Bundestag, il parlamento federale tedesco: che disastro! Erano scure le facce dei militanti riuniti nella sede del Partito socialdemocratico (Spd), era scura anche la faccia di Olaf Scholz, candidato cancelliere e ministro delle finanze uscente nella coalizione di governo tra l’Spd e l’Unione cristianodemocratica/Unione cristianosociale (Cdu/Csu), guidata da Angela Merkel.
Ma no, direte voi, la sera del 26 settembre 2021 in tv si sono viste ben altre immagini trasmesse da Berlino: socialdemocratici festanti, felici del loro 25,7 per cento che li ha incoronati vincitori della contesa elettorale. Il disastro c’era stato, ma nel 2013, quando l’Spd raggiunse la stessa percentuale di oggi, identica alla virgola, e la visse come una sconfitta bruciante. Ora invece Olaf Scholz è acclamato dai suoi come salvatore del partito.
Gli scenari della politica tedesca sono cambiati radicalmente rispetto a otto anni fa. Oggi l’Spd può esultare per il semplice fatto di essere sopravvissuto, anzi resuscitato. Veniva dato per morto: ancora in primavera i sondaggi gli attribuivano un misero 16 per cento e nei mesi precedenti aveva toccato il fondo con un catastrofico 11 per cento. Di conseguenza la campagna elettorale sembrava aprire le porte a un duello tra cristianodemocratici e Verdi, entrambi allora vicini al 30 per cento.
Combinazione vincente
Alla fine non è andata così. Adesso molti commentatori attribuiscono la svolta, avvenuta da agosto, quasi esclusivamente al candidato alla cancelleria. È vero: Scholz è stato percepito dall’elettorato come più competente, più affidabile, più rassicurante rispetto ad Armin Laschet della Cdu/Csu e ad Annalena Baerbock dei Verdi. Molti spiegano il suo successo nel segno della continuità: sarebbe stato il candidato percepito come il vero erede della cancelliera Angela Merkel.
È un’affermazione vera a metà. Infatti tralascia due fatti. Il primo è il riposizionamento dell’Spd, che ha riscoperto la questione sociale. Un salario minimo a 12 euro all’ora, garanzie per la stabilità delle pensioni, investimenti nell’edilizia popolare, tasse più alte sui redditi alti e i patrimoni: sono stati questi i punti programmatici centrali dell’Spd, certo non in continuità con il governo Merkel. E qui siamo al secondo fattore: tutto il partito, storicamente incline alle lotte intestine tra destra e sinistra, questa volta ha portato avanti la campagna con convinzione senza ingaggiare il benché minimo conflitto interno. Un leader autorevole anche se neanche minimamente carismatico, un programma univoco, un partito unito: questa combinazione ha permesso all’Spd, dato per moribondo solo poche settimane fa, di diventare il primo partito tedesco.
Leccarsi le ferite
Tutti questi ingredienti sono invece mancati ad Armin Laschet. L’uomo di punta della Cdu/Csu è diventato il candidato del suo partito dopo una durissima contesa interna con il suo rivale, il leader bavarese della Csu Markus Söder. Come se non bastasse Laschet non ha saputo conquistare autorevolezza durante la campagna elettorale, lastricata di gaffe. Inoltre ha voluto puntare solo sulla continuità con Merkel e la sua unica promessa memorabile è stata quella di abbassare le tasse per i ricchi. Il risultato è una vera e propria disfatta per i cristianodemocratici, arrivati al peggior risultato della loro storia: un misero 24 per cento, con la perdita netta di quasi nove punti percentuali rispetto al 2017.
I Verdi sono inciampati sulla scelta della loro candidata, giovane e brillante, la cui immagine è stata però danneggiata
Anche i Verdi si leccano le ferite. Hanno raggiunto quasi il 15 per cento. In sé sarebbe un successo storico, ma loro correvano per diventare il secondo o addirittura il primo partito tedesco, per formare poi il governo sotto una cancelliera verde. E le condizioni apparentemente c’erano tutte: il cambiamento climatico è diventato l’argomento dominante in Germania, anche a causa delle devastanti alluvioni che quest’estate hanno provocato 180 morti. Ma i Verdi sono inciampati sulla scelta della loro candidata, giovane e brillante, la cui immagine è stata però danneggiata quando si è scoperto che il suo curriculum era lievemente truccato e il suo libro, uscito proprio durante la campagna, era pieno di plagi.
Possono comunque consolarsi con un vecchio adagio di Bettino Craxi secondo cui i voti non si contano ma si pesano. Infatti nessun governo è possibile senza i Verdi: anche il vincitore Scholz può ambire alla guida del governo solo se avrà il loro consenso.
Non basterebbe comunque: ci vorrà il consenso anche dei liberali, il quarto partito, cresciuto di poco, all’11,5 per cento, ma pur sempre cresciuto. Anche i liberali infatti, come l’Spd, ancora pochi mesi fa sembravano in forte crisi, era in forse addirittura il loro ritorno al Bundestag visto che nei sondaggi erano dati al 5 per cento. Ora sono tornati con un risultato più che rispettabile. Di più: sono tornati nel ruolo di ago della bilancia, al fianco dei Verdi.
I populisti di destra di Alternative für Deutschland (Afd) in tutta la campagna elettorale non hanno toccato palla. Si sono presentati come partito spaccato tra l’ala più moderata e quella radicale, aperta anche a pulsioni filonaziste. Se sono arrivati al 10 per cento possono consolarsi con il fatto che malgrado la pessima performance si sono stabilmente radicati nel paese, conquistando perfino la posizione di primo partito in Sassonia e in Turingia.
Invece Die Linke ha subìto una vera e propria disfatta, scendendo dal 9 al 4,9 per cento. Se entrerà di nuovo nel Bundestag, malgrado lo sbarramento del 5 per cento, lo dovrà a una particolarità della legge elettorale. Avendo conquistato tre collegi subito ha diritto a essere rappresentato nel parlamento. Il partito di sinistra non è stato danneggiato solo dal fatto che molti suoi storici voti di protesta nelle regioni dell’est si sono riversati nell’Afd, ma anche per essersi presentato come una forza dilaniata tra chi intendeva davvero costruire un’alleanza di governo con l’Spd e i Verdi e chi invece puntava su un’opposizione da sinistra radicale. Dopo il voto Die Linke ancora non è morto, ma si trova nel reparto di rianimazione. Al di là degli umori nel partito è comunque irrilevante per la formazione del prossimo governo.
Il futuro governo invece si giocherà esclusivamente tra l’Spd, i cristianodemocratici, i Verdi e i liberali che si presenteranno al tavolo dei negoziati con programmi ben diversi sulle misure sociali, sul clima, sulle tasse. Quindi oggi sappiamo solo una cosa: queste trattative dureranno un bel po’. Forse a tenere il discorso di Natale ci sarà ancora Angela Merkel come cancelliera in carica per gli affari correnti.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it