La vittoria di Trump sarebbe un regalo per la Cina
Almeno per la Cina, il presidente Donald Trump è un regalo che non smette di dare soddisfazioni. La sua terribile risposta alla pandemia di covid-19 ha fatto apparire la Cina – il cui governo ha inizialmente mal gestito lo scoppio dell’epidemia – un esempio di efficacia dello stato. Inoltre la politica estera di Trump, improntata all’idea di “prima gli Stati Uniti”, ha tolto a Washington il sostegno di alcuni tradizionali alleati, rendendo difficile la costruzione di un’ampia coalizione che contrasti la Cina.
Trump ha inferto, è vero, alcuni duri colpi al presidente cinese Xi Jinping. Le sue guerre commerciali e tecnologiche stanno demolendo le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, e il sostegno della sua amministrazione a Taiwan ha fatto infuriare i dirigenti cinesi. Ma mentre gli elettori statunitensi si preparano a dirigersi ai seggi il prossimo 3 novembre, sembra che Trump abbia un altro regalo in serbo per Xi: un caos elettorale.
Alla vigilia di questo referendum sulla sua presidenza, Trump si è ripetutamente rifiutato d’impegnarsi ad accettarne l’esito qualunque esso sia. Ha usato la sua posizione da presidente-bullo per cercare di delegittimare il voto postale, lasciando persino intendere che la corte suprema degli Stati Uniti – che adesso dispone di una maggioranza di sei giudici conservatori su nove, dopo la conferma da parte del senato, il 26 ottobre, di Amy Coney Barrett, proposta dallo stesso Trump – potrebbe intervenire per garantirgli un secondo mandato.
Un collasso delle elezioni statunitensi – con tanto di scontri e infiniti contenziosi – sarebbe una manna per la propaganda cinese
Recenti sondaggi suggeriscono una chiara vittoria per lo sfidante democratico di Trump, l’ex vicepresidente Joe Biden. Ma è probabile che la sfida presidenziale si faccia più tesa e che – anche se Trump è indietro su Biden nel totale dei voti popolari – l’esito negli stati più contesi, che determinerà il vincitore nel collegio elettorale, potrebbe essere troppo incerto per dare un risultato chiaro la sera delle elezioni. Questo darebbe a Trump – e al Partito repubblicano – l’occasione di utilizzare il potere di cui dispone per rimanere alla Casa Bianca.
Anche se i possibili scenari di una sfiancante battaglia postelettorale variano, ciascuno di questi danneggerebbe irrimediabilmente la democrazia statunitense. Con grande gioia del Partito comunista cinese (Pcc).
Sul piano ideologico un collasso delle elezioni statunitensi – con tanto di scontri e infiniti contenziosi – sarebbe una manna per la propaganda del Pcc. I dirigenti cinesi indicherebbero nel caos politico degli Stati Uniti un sintomo del loro declino ormai definitivo. L’incompetente gestione della pandemia da parte di Trump ha già reso gli Stati Uniti oggetto di commiserazione in tutto il mondo. Se continuerà con le sue minacce di mettere in discussione la volontà degli elettori statunitensi, l’attrattiva della democrazia americana agli occhi di chi vive in paesi dittatoriali, Cina inclusa, andrebbe in frantumi. Se delle milizie di estrema destra armate fino ai denti effettueranno intimidazioni a larga scala sugli elettori, e se il 3 novembre si verificassero degli scontri violenti negli Stati Uniti, i mezzi d’informazione di stato cinesi saranno felici di mostrare queste scene apocalittiche a tutte le famiglie della Cina.
Pechino potrebbe trarne un beneficio ancora maggiore qualora Trump emergesse come vincitore di elezioni contestate, una prospettiva possibile viste le regole arcaiche e complesse che regolano le elezioni presidenziali degli Stati Uniti e il ruolo potenzialmente decisivo della corte suprema.
Anche se un secondo mandato dell’amministrazione Trump rafforzerebbe la pressione militare e tecnologica sulla Cina, l’estensione della sua presidenza sarebbe comunque una manna per il regime di Xi. Tanto per cominciare, una maggioranza di cittadini statunitensi considererebbe Trump un presidente illegittimo qualora fosse sconfitto nel voto popolare, come ormai appare quasi certo. Peggio ancora, il paese sprofonderebbe in una guerra civile politica qualora ottenesse un secondo mandato tramite una massiccia opera di limitazione del diritto di voto, dubbie manovre politiche da parte delle autorità repubblicane negli stati contesi come Pennsylvania, Wisconsin e Florida, verdetti faziosi da parte di giudici nominati da Trump o l’abuso puro e semplice del potere esecutivo. Come è successo recentemente quando Trump ha fatto pressione sul dipartimento di giustizia affinché indagasse su Biden e suo figlio Hunter, dopo che un recente articolo del New York Post aveva diffuso speculazioni senza fondamento sui rapporti d’affari di Hunter Biden.
Anche se sia democratici sia repubblicani considerano la Cina come la più seria minaccia per gli Stati Uniti, viene da chiedersi come farebbe Washington a lanciare un’efficace nuova guerra fredda contro Pechino, qualora si trovasse impantanata in una guerra civile politica e fosse guidata da un dirigente-capo che più di metà dell’elettorato considera illegittimo. Come minimo, un’ulteriore polarizzazione delle parti renderebbe impossibile, per gli Stati Uniti, ricostruire la sua forza in patria attraverso investimenti in sanità, istruzione, ricerca scientifica, energia pulita e infrastrutture, tutti urgentemente necessari per mantenere il vantaggio competitivo del paese rispetto alla Cina.
Sul piano internazionale un secondo mandato dell’amministrazione Trump, reso possibile da mezzi non democratici, allontanerebbe ulteriormente gli Stati Uniti e i suoi tradizionali alleati democratici liberaldemocratici. Con la probabile accelerazione dell’erosione democratica nel loro paese, i diplomatici statunitensi farebbero fatica a persuadere altri dirigenti occidentali a unirsi all’autocrate e uomo forte di Washington in una crociata ideologica contro l’autocrate e uomo forte di Pechino.
È opinione diffusa che i dirigenti cinesi preferirebbero una vittoria di Biden. Anche se in tal caso la Cina dovrebbe fare i conti con un occidente più unificato, un’amministrazione Biden sarebbe più prevedibile e aperta alla cooperazione sui cambiamenti climatici e sulla sanità pubblica globale. Ma la prospettiva degli Stati Uniti paralizzati da una crisi di legittimità politica in patria, e ripudiati dai suoi alleati all’estero, potrebbe essere ancora più allettante per il Partito comunista cinese.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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