Libri comprati
• *Austerity Britain, **1945–51*, David Kynaston
• American rust, Philipp Meyer
• Puzzled people, Mass observation
• The British worker, Ferdynand Zweig
Libri letti
• Un terzo di Austerity Britain, 1945–51 , David Kynaston
• Red plenty, Francis Spufford
• American rust, Philipp Meyer
Non è mai facile tornare a casa con la coda tra le gambe quando non sei riuscito a combinare niente. Nel 2008 avevo lasciato queste pagine con un atteggiamento tipo: “Addio, secchioni sfigati! Non ho intenzione di perdere altro tempo a sciropparmi libri per voi! Ho altre cose da fare, posti dove andare, gente da vedere!”.
E va bene: che posso farci se la gente non vuole farsi vedere? Così sono diventato quel patetico fenomeno sociale del “figlio boomerang”, in cui magari vi sarete imbattuti: il ragazzo che se ne va di casa sbattendo la porta (di solito, e incautamente, mostrando il dito medio), passa un paio d’anni a rimediare lavoretti da poco in qualche rivista o in banca, poi torna mogio mogio a reclamare la sua cameretta e a chiedersi come mai il sabato sera i suoi genitori si divertono più di lui.
“Che deve fare un genitore?”, si dispera un articolo spaventoso (per me) che affronta proprio questo problema su eHow.com. “È difficile respingere i propri figli. La cosa migliore che possa fare un genitore è aiutarli a capire che ora sono adulti e le regole sono cambiate”.
Le nuove regole dei genitori, prosegue l’articolo, dovrebbero prevedere la richiesta del pagamento di un affitto e il rifiuto di comprare profumo e altri accessori. Sono sicuro che alla fine sul primo la spunterò io. Fa parecchio caldo qui a The Believer e ho il sospetto che il Polysyllabic Spree – le 115 persone impassibili ma profumate che compongono la redazione di questa rivista – cederà prima di me.
Ho deciso di sfogare il mio malumore affrontando alcuni libri che, spero, non saranno di alcun interesse per i lettori di questa rivista. Il superlativo Austerity Britain di David Kynaston ha più di seicento pagine e racconta solo sei anni della vita del mio paese, dal 1945 al 1951.
Il secondo volume della serie, Family Britain 1951-57, è già stato pubblicato, quindi prevedo di leggermi anche quello. Kynaston ci accompagnerà fino all’elezione di Margaret Thatcher nel 1979, e vi avverto fin d’ora che ho intenzione di leggere ogni singola parola della sua serie e di scriverne dettagliatamente in questa rubrica.
Sono a meno di un terzo di Austerity Britain, ma ne ho già letto abbastanza da sapere che è un’opera importante di storia sociale: leggibile, ben documentata, informativa e avvincente. Il successo di Kynaston è dovuto in gran parte alla sua immensa capacità di gestire le risorse a sua disposizione: a volte ti sembra che abbia letto tutti i romanzi scritti in quel periodo e tutte le autobiografie, senza fare alcuna differenza tra l’autobiografia di un ministro del governo laburista e quella di un giocatore della squadra di cricket inglese dello stesso periodo (a pagina 199 della mia edizione economica, a proposito del terribile e amaro inverno del 1947, Kynaston cita l’ex numero due del partito laburista Roy Hattersley, il bassista dei Rolling Stones Bill Wyman e la gastronoma Elizabeth David). Inutile dire che ha anche ascoltato tutti i programmi radiofonici e spulciato tutti i quotidiani.
L’effetto è straordinario: la Gran Bretagna cambia di mese in mese, come un bambino, e alla fine ti ritrovi a pensare che ogni cittadino del mondo dovrebbe avere la possibilità di leggere un libro così bello sul suo paese.
Sono contento che non tutti gli inglesi l’abbiano letto (anche se ha venduto molte copie), così possiamo rubargli qualche aneddoto e spacciarlo per nostro. Uno dei miei preferiti, finora, è quello in cui David Lean racconta la proiezione del suo film Breve incontro in un cinema di Rochester, nel Kent, di fronte a una sala piena di marinai del vicino porto di Chatham.
“Alla prima scena d’amore, una donna seduta nelle prime file sbottò a ridere. Non lo dimenticherò mai. E la seconda scena d’amore andò ancora peggio. A quel punto, cominciarono anche gli altri: appena lei attaccava il pubblico la seguiva. Finì in gazzarra. Si sbellicavano dalle risate”.
Breve incontro è un film inglese molto amato, uno di quelli tirati in ballo ogni volta che qualcuno vuole dimostrare quanto siamo cambiati, e in peggio: una volta parlavamo meglio, eravamo meno emotivi, restavamo sposati, non ci spogliavamo ogni cinque minuti, eccetera.
Dal momento che siamo assolutamente convinti di essere tutti molto più smaliziati della gente di un tempo, nell’era preironica, è istruttivo e insieme mortificante scoprire che, mezzo secolo fa, i marinai di Rochester non avevano bisogno di suggerimenti per sapere cos’è che fa ridere.
Le cose migliori Kynaston le ha prese dallo straordinario Mass observation project, uno studio britannico condotto dalla fine degli anni trenta alla metà degli anni sessanta.
I suoi creatori – l’antropologo Tom Harrisson, il poeta Charles Madge e il regista Humphrey Jennings, tra gli altri (a un certo punto ne ha fatto parte anche il prodigioso, e prodigiosamente intelligente, critico letterario William Empson) – avevano arruolato cinquecento volontari che si erano impegnati a tenere un diario e a rispondere a una serie di questionari. I risultati sono la migliore testimonianza di quello che la guerra e il dopoguerra hanno significato per le persone comuni in Gran Bretagna.
Certo, tra quei volontari c’era qualche tipo strano. Henry St. John, impiegato statale residente a Bristol, descriveva scrupolosamente tutte le occasioni per masturbarsi, ogni volta che se ne presentava una.
La visita al Windmill theatre di Londra, famoso per i suoi tableaux vivant di nudi, gli sollecitava osservazioni come questa: “Ho ritardato la masturbazione finché non è apparsa un’altra ragazza seminuda vista da davanti, con un drappo che le pendeva sul seno nudo”.
Il giorno dopo Hiroshima seguiamo Henry che torna in un bagno pubblico della zona nordest di Londra, “per vedere se riuscivo a masturbarmi leggendo le scritte sui muri”. Dite quello che vi pare su internet, ma per una certa categoria di maschi sottoccupati la vita è diventata più comoda, e più igienica.
Non si parla solo di seghe, naturalmente. Austerity Britain parla del morale di un paese distrutto ed esausto, e dei suoi tentativi di riprendersi. E se leggete o scrivete narrativa, vi piacerà come Kynaston usa materiali d’epoca per dare colore e realismo al suo ritratto storico.
Un’opinione diffusa è che i romanzi troppo legati al loro tempo non durino: ma che altro abbiamo che indaghi più a fondo nei pensieri e nei sentimenti di chi vive in un certo periodo? Dubito che tra cinquanta o cent’anni vorremo sapere quello che aveva da dire sulla guerra civile americana uno che scriveva nel 2010. Non ho intenzione di scoraggiarvi se state scrivendo l’ultimo paragrafo di un romanzo storico di settecento pagine sulla battaglia di Gettysburg, sono sicuro che vincerete valanghe di premi. Dopodiché avete chiuso.
È stato un mese di divertimento inatteso, se David Kynaston mi perdona di aver dubitato che un voluminoso saggio con la parola “austerità” nel titolo potesse essere divertente.
Il romanzo di Francis Spufford, Red plenty, parla della pianificazione economica di Nikita Khruscev, contiene la frase “i moltiplicatori ai quali si affidava la soluzione di Kantorovic ai problemi di ottimizzazione” ed è fantastico. Sì, leggere implica una certa dose di autocompiacimento: “Guardatemi! Sto leggendo un libro sulla crisi dell’industria della gomma nell’Unione Sovietica dei primi anni sessanta e mi piace da morire!”.
Ma in realtà è un sentimento del tutto malriposto e ingiusto nei confronti di Spufford, che è riuscito a rendere il materiale narrativo meno promettente di tutti i tempi in un libro incredibilmente acuto, coinvolgente e profondamente originale. Una versione falce e martello di Nashville di Robert Altman, con i comitati centrali al posto della musica country (probabilmente Red plenty diventerebbe un bellissimo film, ma lascerò a qualcun altro il compito di convincere uno studio di Hollywood che dovrebbe metterci i soldi).
Spufford propone un cast fantastico, un incrocio tra realtà e finzione, e centinaia di episodi che illustrano come la volontà di Khruscev di soddisfare i bisogni dei suoi compatrioti affamati e oppressi abbia inciso sulla vita di economisti, agricoltori, politici, speculatori della borsa nera e perfino sui giornalisti da strapazzo (erano tutti così, naturalmente, visto che dovevi scrivere quello che ti dicevano di scrivere).
Il nome di Francis Spufford è già apparso una volta, in questa rubrica: il suo The child that books built è una bella autobiografia che parla di quello che leggiamo da piccoli e perché. E anche se non sono il solo a pensare che Spufford sia una delle persone più originali della letteratura contemporanea, non siamo tanti quanti dovremmo essere.
La colpa è della sua fantasia perversa: oltre a Red plenty e all’autobiografia, ha scritto libri sul ghiaccio e sui grandi pensatori inglesi. Alla fine di ogni suo libro scopri che quello che sembrava un soggetto noiosissimo ha sempre risvolti insospettati.
Uno dei suoi temi, qui, è l’enorme sforzo mentale necessario per realizzare quello straordinario esperimento che è stato il comunismo sovietico: oggi sappiamo che quell’esperimento è fallito, ma controllare ogni aspetto della domanda e dell’offerta è molto più complicato che starsene seduti lasciando fare al mercato.
Scopriamo che ci vuole ingegno. Anche più di quello servito per concepire, documentare e scrivere questo straordinario romanzo. Ma solo perché i romanzi hanno meno esigenze dei sistemi economici. Dai, lo sapete anche voi. Certo che ne hanno di meno.
Più o meno un anno fa, insieme al mio co-curatore abbiamo scelto un racconto di Philipp Meyer per una raccolta che stavamo curando (quella raccolta poi è uscita. Era uno dei tanti piani degli ultimi diciotto mesi architettati per fare soldi e finiti male. Racconti brevi di scrittori americani giovani e sconosciuti! Da pubblicare solo in Gran Bretagna! Cosa poteva andare storto? Niente, ecco cosa. Infatti ho il sospetto di essere stato raggirato e che in questo momento il mio co-curatore stia sniffando cocaina e comprando cavalli da corsa in Florida).
Era molto bello, quel racconto. Così quando ho visto che il primo romanzo di Meyer, American rust, ha avuto una recensione entusiasta addirittura sull’Economist, be’, ho pensato di andare in giro a vantarmi di averlo scoperto io, come una specie di implacabile ranger bibliomane, quando lo sappiamo tutti che al giorno d’oggi bastano due secondi per scoprire un libro.
La copertina della mia copia di American rust sfoggia le lodi di Patricia Cornwell e Colm Tóibín, che lo inquadrano perfettamente: American rust è uno di quei libri che offrono al lettore non soltanto un grande soggetto – la lenta agonia dell’America proletaria – ma anche un intreccio avvincente che ci porta dritto nel cuore della storia. Isaac e Poe, due ventenni, sognano di fuggire dalle rovine della loro città in Pennsylvania, piena di acciaierie fatiscenti (ci sarebbe stata bene una citazione di Springsteen, accanto a quelle di Tóibín e Cornwell).
Isaac è intelligente, e vuole andare in un college californiano. Poe ha una borsa di studio sportiva che lo aspetta, ma è troppo indeciso per accettarla. Poi Isaac uccide qualcuno, e tutto va a rotoli.
In questo libro non manca niente. I personaggi sono memorabili: non solo Isaac e Pop, ma le sorelle e i genitori e gli ispettori di polizia, perfino i personaggi minori, gli sbandati e i piccoli delinquenti dickensiani che Isaac incontra durante la sua fuga dalla Pennsylvania.
La trama è costruita in modo da scatenare ogni sorta di sottile complicazione morale, senza sacrificare il tono dolente ed empatico dell’autore. E a differenza di molti romanzieri, Meyer sa che moriremo tutti, ma solo dopo esserci incasinati la vita. Ecco. Spero che sia bastato a convincervi.
Dovete ammettere che se ho letto tre libri belli come questi uno dopo l’altro, gran parte del merito è mio. Sì, apprezzo il lavoro che c’è dietro questi lavori, le ricerche, l’amore, la pazienza, l’immaginazione, l’immensa bravura, esattamente come apprezzo il lavoro che c’è dietro a un pallone da calcio perfettamente sferico e cucito con amore.
Ma con tutto il rispetto per Kynaston, Spufford e Meyer, è il lettore che manda la palla in rete. È questo che conta veramente. Lui tira, lui segna. Tre volte. La sua rubrica torna in campo con una tripletta! È ancora forte.
*Traduzione di Diana Corsini.
Internazionale, numero 855, 16 luglio 2010*
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