Nel dibattito sulla previdenza sociale, i soci del presidente Bush hanno già vinto, almeno nel breve periodo. Bush e Karl Rove, il suo vicecapo di gabinetto, sono riusciti a convincere la maggioranza della popolazione statunitense che la previdenza sociale è un grave problema.

Così hanno posto le premesse perché sia preso in considerazione il programma di fondi privati proposto dall’amministrazione, anziché fidarsi del sistema pensionistico pubblico. L’opinione pubblica è stata dunque spaventata, come è successo quando hanno definito imminente la minaccia rappresentata da Saddam Hussein. I politici sono sottoposti a forti pressioni e alcuni parlamentari sperano di presentare entro un mese una legge sulla previdenza sociale.

Per capire davvero la situazione è opportuno far presente che secondo l’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – la social security americana è uno dei sistemi pensionistici pubblici meno generosi tra tutti i paesi avanzati. L’amministrazione Bush dice di volerla “riformare”, ma in realtà vuole smantellarla. Una campagna di propaganda del governo e dei mezzi di informazione ha inventato una “crisi della finanza pubblica” che non esiste.

La versione ufficiale è che in futuro i figli del baby boom degli anni sessanta graveranno di più sul sistema previdenziale perché nel frattempo la percentuale di persone che lavorano rispetto al numero degli anziani sarà diminuita. Certo, è vero: ma cos’è successo ai figli del baby boom quando avevano da 0 a 20 anni?

A prendersi cura di loro non hanno forse pensato i lavoratori? Con tutto che all’epoca la società americana era molto più povera di oggi. Quindi, negli anni sessanta la realtà demografica ha determinato un problema, ma non certo una crisi. Il grosso della questione è stato affrontato con un forte incremento della spesa pubblica per le scuole e altre strutture destinate ai bambini. Se il danno non era irreparabile quando i figli del baby boom avevano da 0 a 20 anni, perché dovrebbe esserlo quando avranno tra i 70 e i 90 anni?

Il dato rilevante, in questo caso, è quello che si definisce indice di dipendenza, cioè il rapporto numerico tra lavoratori attivi e popolazione. Questo indice ha toccato il suo punto più basso nel 1965 e secondo le cifre della Social security administration tornerà a toccarlo solo nel 2080. Ma ogni proiezione che si spinga così avanti nel tempo è priva di senso. Quando morirà l’ultimo figlio del baby boom, la società americana sarà diventata molto più ricca e ciascun lavoratore produrrà una ricchezza assai maggiore di oggi.

In altre parole, la crisi l’abbiamo già superata. Eventuali nuovi problemi si potranno affrontare con qualche semplice aggiustamento. Nel frattempo, però, si staglia all’orizzonte una crisi di finanza pubblica molto più seria: quella dell’assistenza sanitaria. Il sistema sanitario degli Stati Uniti è uno dei più inefficienti del mondo industrializzato; il suo costo pro capite è molto più alto che in altri paesi e per giunta gli effetti per la salute sono tra i peggiori. Il sistema è privatizzato e questo è uno dei motivi per cui è tanto inefficiente. Eppure non è in programma nessuna “riforma” del sistema sanitario.

Quindi, siamo di fronte a un evidente paradosso: la crisi finanziaria – reale e grave – non è una vera crisi, mentre la non-crisi impone un intervento per distruggere un sistema efficiente e solido. Di fronte a questo paradosso, un osservatore razionale si mette a cercare le differenze tra il sistema di previdenza sociale e quello dell’assistenza sanitaria che possano spiegarlo. Ebbene, si spiega con motivi semplici. Anche se causa enormi problemi finanziari e gravosi costi umani, il nostro sistema sanitario non si può prendere di mira perché è controllato dalle assicurazioni e dalle industrie farmaceutiche.

La social security conta poco per i ricchi, mentre è decisiva per la sopravvivenza dei lavoratori, dei loro familiari a carico e dei disabili. Ed essendo un programma governativo, ha costi così contenuti da non dare nessuna contropartita alle istituzioni finanziarie.

L’opinione pubblica e la politica dell’establishment degli Stati Uniti sono fuori sintonia. Come in passato, la maggioranza degli americani è favorevole a un’assicurazione sanitaria nazionale. In un sondaggio condotto nel 2003 dal Washington Post in collaborazione con Abc News, l’80 per cento degli interpellati ha giudicato più importante avere un sistema sanitario per tutti che non “tenere basse le imposte”.

La previdenza sociale americana si fonda su un principio estremamente pericoloso: se la vedova disabile che abita dall’altra parte della città non ha da mangiare, sta a tutti noi preoccuparcene. Invece, i “riformatori” della social security preferirebbero vederci assoggettati al potere e dediti a massimizzare i nostri consumi. La vita è così: occuparsi degli altri e assumersi la responsabilità collettiva di cose come la salute o le pensioni sono attività altamente sovversive.

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