La morte di una nazione è un evento raro e triste. Ma ora il sogno di una Palestina unita e indipendente rischia di essere vittima della guerra civile tra Hamas e Al Fatah, fomentata da Israele e dagli Stati Uniti.

Il caos del mese scorso potrebbe aver segnato l’inizio della fine dell’Autorità palestinese. Non è detto che sia una cosa negativa per i palestinesi, considerato il piano israelo-americano di trasformare l’Anp in un regime collaborazionista pronto ad avallare il rifiuto di uno stato indipendente.

Gli scontri di Gaza si sono svolti in un contesto in trasformazione. A gennaio del 2006 i palestinesi hanno partecipato a elezioni dichiarate libere e corrette dagli osservatori internazionali. E Hamas ha ottenuto una vittoria che ha sorpreso tutti. La punizione inflitta ai palestinesi per aver votato nel modo sbagliato è stata durissima.

Con l’appoggio degli Stati Uniti, Israele ha inasprito gli attacchi a Gaza, trattenuto illegalmente fondi che spettavano all’Autorità palestinese, intensificato l’assedio e perfino interrotto la fornitura d’acqua alla Striscia. Gli Stati Uniti e Israele hanno fatto in modo che Hamas non avesse alcuna possibilità di governare.

Hanno respinto la sua richiesta di un cessate il fuoco a lungo termine per avviare trattative su una soluzione basata su due stati, soluzione accettata dal mondo intero ma a cui Israele e Stati Uniti si oppongono da trent’anni, con qualche raro e temporaneo cedimento.

Le grandi potenze hanno una procedura standard per abbattere i governi indesiderati: armano i militari perché facciano un colpo di stato. Israele e il suo alleato hanno armato e addestrato gli uomini di Al Fatah per conquistare con la forza ciò che non erano riusciti a ottenere dalle urne.

Ma la strategia gli si è ritorta contro. Il mese scorso a Gaza le forze di Al Fatah sono state sconfitte in un violento conflitto militare. A quel punto Israele e gli Stati Uniti si sono affrettati a ribaltare la situazione a loro vantaggio, trovando un pretesto per rafforzare la stretta mortale sugli abitanti di Gaza.

“Insistere con quest’atteggiamento nelle condizioni attuali è genocida, e rischia di distruggere un’intera comunità palestinese, che è parte integrante di un’unità etnica più ampia”, scrive l’esperto di diritto internazionale Richard Falk.

La situazione potrebbe degenerare a meno che Hamas soddisfi le tre condizioni imposte dalla “comunità internazionale” – termine tecnico che in genere si riferisce al governo degli Stati Uniti e a chiunque obbedisca ai suoi ordini. Deve riconoscere Israele, rinunciare alla violenza e accettare gli accordi passati, in particolare la Road map del Quartetto (Stati Uniti, Russia, Unione europea e Nazioni Unite).

Un esempio di ipocrisia che lascia senza parole. Ovviamente Stati Uniti e Israele non vogliono riconoscere la Palestina né rinunciare alla violenza. E neanche accettare gli accordi passati. Anche se formalmente ha accettato la Road map, Israele ha espresso 14 riserve che praticamente la svuotano di significato. Il rifiuto della Road map da parte di Israele, sempre con l’appoggio degli Stati Uniti, è inaccettabile per l’immagine che gli occidentali hanno di sé: per questo è stato tenuto segreto.

La verità è emersa con la pubblicazione del libro di Jimmy Carter, Palestine: peace not apartheid, che ha suscitato un torrente di invettive e disperati tentativi di screditarlo.

Adesso che è in grado di schiacciare Gaza, Israele può anche procedere (sempre con l’aiuto di Washington) a realizzare il suo piano per la Cisgiordania, contando sul tacito assenso dei leader di Al Fatah, che saranno ricompensati per la loro collaborazione. Tra le altre cose, Israele ha cominciato a sbloccare i fondi – circa 600 milioni di dollari – che aveva illegalmente congelato dopo le elezioni del gennaio del 2006.

Poi è partito alla riscossa l’ex primo ministro britannico Tony Blair. Secondo il giornalista libanese Rami Khouri, “nominare Blair inviato speciale per la pace tra arabi e israeliani equivale a nominare l’imperatore Nerone capo dei pompieri di Roma”. Blair è in realtà l’inviato di Washington e ha un mandato molto limitato. Condoleezza Rice e il presidente George W. Bush manterranno il controllo su tutte le questioni importanti.

Per quanto riguarda l’immediato futuro, la cosa migliore sarebbe un accordo per la nascita di due stati, su pressione della comunità internazionale. Questa soluzione non è ancora irrealizzabile. È appoggiata da quasi tutto il mondo, compresa la maggioranza dei cittadini statunitensi. A un certo punto, alla fine della presidenza Clinton, ci si arrivò molto vicino. Nel gennaio del 2001, Washington appoggiò i negoziati di Taba, in Egitto.

L’accordo era stato quasi raggiunto, quando il primo ministro israeliano Ehud Barak si tirò indietro. Nella loro conferenza stampa finale, i negoziatori di Taba dissero che se fossero tornati a lavorare insieme avrebbero sicuramente raggiunto l’accordo.

Negli ultimi anni sono successe molte cose terribili, ma questa possibilità rimane. L’esito più probabile sarà quasi sicuramente il peggiore, ma è impossibile prevedere gli eventi umani: dipendono troppo dalla volontà e dalle scelte personali.

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