La guerra nucleare è una minaccia implicita del nostro tempo, ma negli ultimi tempi sta diventando sempre più reale. A luglio l’incontro di Ginevra tra l’Iran e sei grandi potenze mondiali sul programma nucleare di Teheran si è concluso con un nulla di fatto.
L’amministrazione Bush è stata lodata per aver adottato una posizione più conciliante, mentre l’Iran è stato aspramente criticato per non aver mostrato una seria disponibilità al negoziato. E le potenze hanno avvertito Teheran che presto potrebbe andare incontro a sanzioni più dure, se non metterà fine al programma di arricchimento dell’uranio.
Nel frattempo Israele – un altro stato che ha sfidato, con il consenso occidentale, il trattato di non proliferazione nucleare – conduceva manovre militari su larga scala nel Mediterraneo orientale, forse in vista di un raid aereo sugli impianti nucleari iraniani.
In un recente articolo sul New York Times, intitolato “Usare le bombe per evitare una guerra”, lo storico israeliano Benny Morris ha scritto che i leader iraniani dovrebbero essere felici di un bombardamento israeliano con armi convenzionali, perché “l’alternativa è un Iran trasformato in deserto nucleare”.
Intenzionalmente o no, Morris ripropone un vecchio tema, quello dell’eroe biblico Sansone, che si diede la morte uccidendo più nemici possibile. Le armi nucleari di Israele potrebbero nuocere alla sicurezza dello stato ebraico, come sostiene l’analista strategico israeliano Zeev Maoz. Ma spesso la sicurezza non è la priorità dei leader. E il “complesso di Sansone”, come lo chiamano i commentatori israeliani, può essere sventolato per avvertire chi comanda: se si vuole evitare una tempesta nella regione e forse nel mondo intero sarebbe una buona idea colpire l’Iran.
Il complesso di Sansone, rafforzato dalla dottrina secondo cui “il mondo intero è contro di noi”, non può essere liquidato alla leggera. Poco dopo l’invasione del Libano nel 1982, che provocò tra i 15 e i 20mila morti nel tentativo immotivato di assicurare il controllo israeliano dei Territori occupati, Aryeh Eliav, una delle più note colombe d’Israele, definì “una forma di demenza” l’atteggiamento di “chi ha portato qui il ‘complesso di Sansone’, in base al quale uccideremo e seppelliremo tutti i gentili intorno a noi e moriremo con loro”.
Una forma di demenza diffusissima all’epoca e ancora oggi. Ma ci sono altri pericoli. Il generale Lee Butler, ex comandante in capo del comando strategico statunitense, nel 1999 osservava: “Il fatto che, in quel calderone di ostilità chiamato Medio Oriente, una nazione si sia dotata di centinaia di armi nucleari, spingendo altri paesi a fare altrettanto, è molto pericoloso”.
Tutto questo è legato alle preoccupazioni per il programma nucleare iraniano, ma nessuno ne parla. Come nessuno parla dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, che vieta di minacciare l’uso della forza nelle relazioni internazionali. Entrambi i partiti statunitensi, invece, dichiarano con insistenza che “tutte le opzioni sono sul tavolo” per quanto riguarda l’Iran. Il coro di denunce contro i “nuovi Hitler” di Teheran e la minaccia che rappresentano per il mondo è stato interrotto da poche voci.
Per esempio dall’ex capo del Mossad, Efraim Halevy, che ha di recente avvertito che un attacco israeliano all’Iran “potrebbe avere ripercussioni su di noi per i prossimi cento anni”. Secondo Benny Morris, però, “tutti i servizi segreti del mondo sono convinti che il programma iraniano sia finalizzato alla produzione di armi”.
Come è noto, nel novembre del 2007 il rapporto dei servizi d’intelligence statunitensi U.S. national intelligence estimate è arrivato alla conclusione che “Teheran ha probabilmente interrotto il suo programma di armamenti nucleari nell’autunno del 2003”. Morris riferisce probabilmente delle informazioni ricevute da una fonte dei servizi israeliani: ecco perché generalizza a “ogni servizio d’intelligence”, proprio come ci avverte che l’Iran sfida “il mondo” cercando di arricchire l’uranio. La logica è la stessa.
Negli ambienti neoconservatori si dice che, se Barack Obama vincesse le elezioni, Bush e Cheney dovrebbero subito bombardare l’Iran, perché la minaccia di Teheran è troppo grande per essere lasciata nelle mani di un democratico smidollato. A giugno il congresso stava per approvare una risoluzione, appoggiata dalla lobby filoisraeliana, che in pratica invocava un blocco dell’Iran: un atto di guerra che avrebbe potuto innescare un conflitto nella regione e in tutto il mondo. Le pressioni del movimento contrario alla guerra sembrano aver neutralizzato questo tentativo, ma probabilmente ce ne saranno altri.
Il governo di Teheran merita di essere condannato per molte cose, ma la minaccia iraniana rimane un’invenzione di chi si arroga il diritto di dominare il mondo e considera ogni ostacolo al proprio dominio un’aggressione. È questa la prima minaccia che dovrebbe preoccuparci, e che preoccupa le menti più sane dell’occidente e del resto del mondo.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it