Alcuni mesi fa ho promesso ad alcune brave persone di New York che avrei, molto presto, scritto un libro.
Da allora ho fatto varie cose.
- Ho chiamato mia madre ridendo.
- Ho chiamato mia madre piangendo.
- Ho pensato di cambiare la mia biografia su Twitter, poi ci ho ripensato.
- Ho pensato di scrivere un’email a tutti i miei fidanzati e mentori per far sapere loro che sono una bugiarda, poi ci ho ripensato.
- Ho fatte approfondite ricerche su tre diversi software per la scrittura di testi lunghi, salvo poi scoprire che preferisco il primissimo che ho provato.
- Ho fatto approfondite ricerche su vari tipi di penne tedesche, salvo poi scoprire che preferisco le buone vecchie Paper Mates.
Adesso mi rimane da fare una sola cosa: scrivere quel che ho da scrivere.
A tale scopo, mi sono consultata di recente con alcuni esperti di produttività per capire come sia possibile che le persone – gente come me, spero – siano in grado di concludere grandi progetti a lungo termine, nei tempi previsti e, idealmente, con il minimo indispensabile supporto psichiatrico.
Consigli preziosi
Mi sono rivolta a Laura Vanderkam, autrice di vari libri, molti dei quali sull’arte di portare a termine le cose (vedendo la mia copia di Facciamoci avanti. Le donne, il lavoro e la voglia di riuscire di Sheryl Sandberg, mi mostra il suo libro I know how she does it (So come ci riesce: come le donne di successo sfruttano al meglio il loro tempo). Ogni 18 mesi o al massimo ogni due anni esce un suo nuovo libro, ma la maggior parte del lavoro di scrittura avviene in sei mesi, mi spiega. Dopodiché si occupa delle correzioni e della promozione del libro. E in tutto questo trova il tempo di scrivere il suo blog, preparare podcast, parlare durante eventi pubblici e viaggiare. Ah, dimenticavo: ha quattro figli, rispettivamente di undici, otto, sei e tre anni.
Mi dice che la sua vita domestica la aiuta a rimanere produttiva. Si occupa dei bambini solo durante alcune ore e quindi “la mia creatività è costretta a scioperare durante quelle ore”, spiega.
Per quanto riguarda specificamente i progetti di scrittura, il suo consiglio è di “scrivere velocemente, correggere lentamente”. Il suo obiettivo è scrivere un capitolo alla settimana e, all’interno di tale settimana, di scrivere il nucleo centrale del capitolo il lunedì e il martedì. Questo significa che spesso produce fino a quattromila parole al giorno. Poi il mercoledì e il giovedì sono riservati alle correzioni, mentre il venerdì è un giorno di “recupero”, una rete di protezione se prima non fosse riuscita a rispettare le attese di alta produttività. La chiave è scrivere una prima bozza davvero pessima, e poi riscriverla con estrema cura.
La mia meravigliosa creatura fatta di parole nascerà solo tra qualche mese
“Quando scrivi un sacco… Sai che la prima cosa che scriverai non sarà perfetta”, dice. “Scriverai tantissime cose che non arriveranno alla versione finale”, compresi alcuni appunti tra virgolette come ‘inserisci qui questa cosa’. Poi si potranno migliorare le cose, ma trasformare una qualsiasi cosa in qualcosa di meglio è molto più semplice che trasformare il niente in qualcosa”.
Che sollievo! Le orrende frasi che vedo sul mio schermo non sono davvero i miei scritti, bensì i miei piccoli embrioni di libro, con tanto di coda e minuscole braccine. La mia meravigliosa creatura fatta di parole nascerà solo tra qualche mese.
Che cosa non bisogna fare? Secondo Vanderkam, aspettare fino all’ultimo momento. Peraltro, se finisci presto, puoi prenderti una pausa dal tuo lavoro e tornare a guardarlo con occhi (più) riposati.
Non che comunque riusciresti a staccarti più di tanto. Joseph R. Ferrari, psicologo presso la DePaul University, mi ha spiegato che la maggior parte delle persone solo occasionalmente perde tempo. “I procrastinatori cronici”, spiega Ferrari, sono solo il 20 per cento della popolazione, e l’unico modo per aiutarli è la terapia.
Personalmente, non so se faccio parte di quel 20 per cento, ma sottopormi a una speciale terapia antiprocrastinazione mi sembra esattamente il genere di cose che farei, appunto, per procrastinare. Potrei anche rimettere ordine sulla mia scrivania, un’azione che invece, a quanto pare, potrebbe dare i suoi frutti. In uno studio che Ferrari ha recentemente realizzato con i suoi colleghi, il livello di disordine delle persone risultava essere un indicatore delle loro tendenza a rimandare le cose.
I miti da sfatare
A volte, tuttavia, mi metto a pulire perché non mi sento nel giusto “umore” per scrivere. Ma l’umore non conta quando si tratta di portare a termine le cose, come ha dichiarato al Washington Post nel 2016 Timothy Pychyl, professore alla Carleton University di Ottawa. “Devo ammettere che raramente ne ho voglia, ma il fatto che ne abbia voglia o meno non è importante”, ha spiegato. Un altro mito è quello della necessità di avere un bel po’ di tempo per poter davvero mettersi a fare qualcosa. Il professore e autore di testi sul mondo imprenditoriale Adam Grant, noto per la sua produttività, spiega che a volte sfrutta persino gli otto minuti tra un incontro e l’altro per dare avvio a un nuovo progetto.
Cominciare a lavorare, come altre piccole vittorie, potrebbe essere l’unica cosa di cui ho bisogno. Linda Houser-Marko, ricercatrice in psicologia presso la Johnson O’Connor Research Foundation ha condotto uno studio nel quale ha rilevato che è meglio misurare i propri progressi quando si realizza un grande progetto in termini di piccoli e incrementali “sotto-obiettivi”, che si tratti del capitolo di un libro o di una sezione più piccola di una tesi, invece che in termini di obiettivi più ampi. La cosa è particolarmente utile quando si è in difficoltà, ha scoperto. “Gli obiettivi di ampio raggio ci appaiono forse più significativi, ma quelli più limitati sono più utili quando s’incontrano degli intoppi o quando non si fanno i progressi desiderati”, mi ha spiegato.
La scrittura in piccole dosi
Anche Vanderkam sottolinea l’importanza di raggiungere piccoli obiettivi. “Se scomponi in piccole parti il lavoro che devi realizzare, diventerà difficile credere che provi così tanta resistenza nello scrivere”, è il suo consiglio. Puoi anche dirti che l’unica cosa da fare è scrivere cento parole (le email che ci siamo scritte per fissare la nostra chiamata erano di circa cento parole, mi fa notare). L’unica cosa è che alla fine dovrai fare la stessa cosa ottocento volte.
Parlando con Vanderkam, scrittrice di best seller e dominatrice del tempo, mi sono sentita improvvisamente intelligente e capace, non una persona che apre Instagram perché semplicemente è troppo pigra per mettere da parte il suo telefono.
“Se hai scritto degli articoli da ottocento parole in un giorno”, mi assicura Vanderkam, “in sei mesi avrai comunque già scritto un libro. Basta che ne scrivi una piccola parte, e poi un’altra ancora, e così via”.
O almeno, è così che fa lei.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale.
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