(Leonardo Patrizi, Getty Images)

Nel corso degli anni mi è capitato diverse volte di sentir parlare di un esercizio di scrittura chiamato “pagine del mattino”, che consiste nel riempire tre pagine di parole, sotto forma di flusso di coscienza, appena ci si alza dal letto.

Non sono mai stato tentato di farlo. Come giornalista, odio gli esercizi di scrittura: perché fare del lavoro in più che nessuno leggerà mai? Inoltre quest’idea è stata partorita a Taos, in New Mexico, dalla guru della creatività new age Julia Cameron, autrice di frasi come “Quando ci avviciniamo ai nostri sogni, ci avviciniamo al divino che è in noi”.

Quest’estate, però, ho letto tre articoli in cui si affermava che questa pratica sta diventando di moda anche tra gli uomini d’affari. Poi la mia amica Joanna, che non è neanche lontanamente new age, mi ha rivelato di credere molto nei suoi benefici. Così ho deciso che doveva essere un messaggio mandato dal mio angelo custode a proposito del destino della mia anima, o qualcosa del genere, e mi ci sono gettato a capofitto. Adesso mi pento di non averlo fatto molto prima.

“Non ci sono cose giuste o sbagliate da scrivere nelle pagine del mattino”, afferma Cameron, che ha introdotto questo concetto nel 1992 in La via dell’artista, ma l’ha riassunto di nuovo in un libro più recente, The miracle of morning pages. Questo significa che si può scrivere qualsiasi cosa ci passi per la mente: piccole preoccupazioni, grandi progetti, invettive rabbiose.

Per quanto riguarda il come, però, l’autrice è molto rigorosa. Dobbiamo scrivere al risveglio, “per prendere in contropiede il nostro ego prima che innalzi le sue difese”. Devono essere scritte a mano. E devono riempire esattamente tre fogli A4.

La regola delle tre pagine è fondamentale: se un giorno siamo poco ispirati, magari possiamo cominciare a scrivere banalità, ma se continuiamo, dopo aver rimosso le ragnatele, può darsi che ne esca fuori qualcosa di interessante. Secondo la mia amica Joanna “non è possibile scrivere tre intere pagine di banalità”. O per dirla con Cameron: “Le ultime due pagine e mezzo sono le più difficili, ma forse contengono qualcosa di utile”. Dopo tre pagine è altrettanto imperativo fermarsi per evitare “l’eccessivo coinvolgimento e il narcisismo”, liberare la mente e andare avanti con la giornata.

Forse non mi sarei dovuto sorprendere di quanto questo esercizio, fin dal primo giorno, si è dimostrato essenziale per calmare le ansie, stimolare le intuizioni e sciogliere i dubbi. Dopotutto, i benefici psicologici dell’esternare i propri pensieri scrivendo un diario sono ben noti. Ed è stato dimostrato che quando siamo ancora assonnati riusciamo a pensare in modo più creativo, perché i processi inibitori del cervello non si sono ancora messi in moto e le illuminazioni sono più frequenti.

È fondamentale che quelle pagine rimangano private. Se avete bisogno di distruggerle per essere certi che nessuno le legga, fatelo pure: è più importante che tenerle come riferimento. Non perché dovete per forza rivelare qualche segreto, ma perché è liberatorio sapere che potreste farlo. È per questo che i bravi psicoterapeuti cercano di creare un “ambiente sicuro”, al punto da garantirsi che nessuno possa spiare dalla finestra.

Per lo stesso motivo, nel suo libro The rise, la storica Sarah Lewis sottolinea l’importanza delle “aree private” nella vita delle grandi figure della creatività, stanze tutte per sé dove potevano dare alla luce il loro lavoro, esternandolo senza condividerlo.

Le pagine del mattino creano metaforicamente un luogo simile, così prezioso che non riesco a pensare di smettere. Mi stanno aiutando ad “avvicinarmi al divino che è in me”? Dio solo lo sa.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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