La mia felicità dipende dalla tua
La parola sanscrita mudita, che significa gioia disinteressata per il successo di qualcun altro, indica più o meno l’opposto della tedesca schadenfreude, gioia causata dalla sfortuna altrui. Mudita è una delle quattro principali virtù predicate dal buddismo, e penso proprio che sia più rara della schadenfreude. Il concetto di felicità si basa, più di quanto vorremmo ammettere, sul confronto: “essere felici” spesso significa esserlo più degli altri. “Non basta che le cose ci vadano bene, devono andare male agli altri”, diceva Gore Vidal, caustico come al solito.
È per questo che, secondo alcune ricerche, un piccolo aumento di stipendio solo per noi può renderci più felici di uno più alto che però hanno ottenuto anche i nostri colleghi. Forse è anche il motivo per cui in alcuni paesi il tasso di felicità e quello di suicidi sono altrettanto alti: quando si è circondati da persone felici, essere infelici è particolarmente deprimente. E poi c’è la storiella russa sull’angelo che appare a un vecchio e si offre di esaudire ogni suo desiderio, a condizione che il suo vicino abbia il doppio della stessa cosa. Il vecchio ci pensa un po’ e poi risponde: “Vorrei perdere la vista da un occhio”.
La mudita invece è uno di quei sentimenti più facili da affermare in linea di principio che da provare. Pensateci bene, e vi renderete conto che anche nei casi più semplici, quando siete felici per le persone che amate, resta sempre un pizzico di ambiguità. La gioia per la promozione del vostro compagno è del tutto indipendente dal fatto che il reddito della famiglia aumenterà? Siete davvero contenti per i successi dei vostri figli o li state usando per realizzare i vostri sogni frustrati? Quante volte avete detto a un amico “Sono così contento per te!” senza provare un briciolo di invidia? Non è che abbiate mentito. Ma spesso queste parole esprimono quello che vorreste provare, non quello che provate veramente. O forse capita solo a me, e ho appena ammesso di essere un mostro di egocentrismo.
Tuttavia, secondo il buddismo è fondamentale che la mudita non sia sentita come un dovere, un modo per dimostrare quanto siamo “buoni”, ma sia coltivata per essere più felici. Come ama dire il dalai lama, se diventiamo capaci di provare piacere per le gioie di sette miliardi di persone piuttosto che di una sola, abbiamo molte più possibilità di essere felici. Il che non significa che sia sbagliato preoccuparci più per i nostri familiari e amici che per gli sconosciuti: c’è qualcosa di disumano nel sostenere di amare tutta l’umanità nello stesso modo.
Al livello psicologico, la verità che si nasconde dietro la mudita è che la felicità non è un gioco a somma zero. Non ce n’è una quantità limitata, e se qualcun altro è felice non significa che ne rimane di meno per me. La somma zero dipende solo dallo strumento con cui cerchiamo di raggiungerla. Il denaro, per esempio, è per sua natura relativo: i milionari sono così ricchi perché la maggior parte di noi non lo è. Anche la fama e il potere funzionano nello stesso modo: se la nostra idea di felicità consiste nell’occupare l’ufficio più bello, nel momento in cui lo assegnano a qualcun altro abbiamo perso.
Probabilmente una vita interamente basata sulla mudita è un ideale irraggiungibile, ma il concetto serve a ricordarci che la felicità non deve necessariamente essere egoistica. Possiamo godere anche di quella degli altri. Per me è confortante e spero che lo sia anche per voi, mi farebbe tanto felice.
(Traduzione di Bruna Tortorella)