Sottolineare un problema non significa risolverlo
Il parco nazionale della foresta pietrificata, nel deserto dell’Arizona, è famoso per i resti fossili di alberi vissuti milioni di anni fa. Ma ormai è famoso anche perché spesso i visitatori portano via pezzi di fossili come souvenir, e stanno trasformando quella meraviglia della natura in migliaia di brutti soprammobili. Per cercare di mettere fine al saccheggio, un’équipe di psicologi ha suggerito di mettere dei cartelli che invitavano a non rubare con questa spiegazione: “Molti visitatori hanno sottratto frammenti di legno pietrificato dal parco, cambiando la natura della foresta”. Ma con la comparsa dei cartelli i furti sono triplicati. Il messaggio principale è stato spazzato via da quello implicito: se tutti rubano, un pezzetto in più che differenza fa?
Questa storia mi è tornata in mente mentre leggevo (su digest.bps.org.uk) uno studio di Michelle Duguid e Melissa Thomas-Hunt sul potere degli stereotipi. Dato che tutti siamo un po’ razzisti e sessisti, il sistema migliore per combattere i pregiudizi non è più svergognare le persone che li esprimono – perché si metterebbero subito sulla difensiva – ma ricordargli che tutti tendiamo a pensare in modo stereotipato. Tuttavia, le autrici dello studio hanno scoperto che questa idea degli “stereotipi comuni” funziona esattamente come i cartelli della foresta pietrificata: hanno fatto sentire la gente più a suo agio mentre continuava a portarsi via i pezzi di legno, come avevano fatto in precedenza le altre persone.
Ricordare ai capi che nei posti di lavoro il sessismo è molto diffuso, per esempio, può farli sentire meno in colpa se al momento di assumere qualcuno prendono decisioni sessiste.
Questo crea problemi a chiunque sia impegnato in una “campagna di sensibilizzazione” o stia cercando di risolvere un problema sociale: dire alle persone che stanno facendo una cosa sbagliata non aumenta le probabilità che smettano di farla. A volte dipende dai perversi meccanismi della mente umana: per esempio, si comincia a sospettare che le campagne contro il fumo o gli eccessi alimentari ottengano il risultato opposto, se non altro perché mettono ansia, e quando i fumatori o le persone che mangiano troppo diventano ansiose, la prima cosa che fanno è… sì, proprio fumare o mangiare.
Ma spesso il motivo è che più sono le persone che agiscono in un certo modo, meno quel comportamento sembra sbagliato. I risultati delle ricerche fanno pensare che perfino campagne contro comportamenti palesemente criminali come la violenza domestica possano dimostrarsi altrettanto controproducenti: quando sanno di non essere soli, i violenti si vergognano meno.
La cosa più preoccupante è che i tentativi di sensibilizzazione possono influenzare anche il concetto di “problema grave”. Questa è una possibile interpretazione dei risultati di un recente studio sul perché la gente tolleri livelli di disuguaglianza sempre più alti: la ragione principale è proprio l’aumento della disuguaglianza stessa. Mano a mano che la disuguaglianza cresce, sale anche il nostro livello di accettazione. La soluzione non è certo tenere la gente all’oscuro delle ingiustizie sociali o dei rischi del fumo, ma queste scoperte ci ricordano che sottolineare un problema non significa risolverlo.
Considerate la mia rubrica di oggi una campagna di sensibilizzazione sui limiti delle campagne di sensibilizzazione. Il che significa che probabilmente ho peggiorato le cose.
(Traduzione di Bruna Tortorella)