La scortesia non fa risparmiare tempo
“Sembra che in quest’era moderna molte persone non abbiano più il tempo per essere educate”, borbottava il New York Observer nel 1899, ma non è difficile immaginare che queste parole le possa pronunciare qualsiasi attempato e scorbutico editorialista di oggi, categoria dalla quale non me la sento di escludermi. “Il fatto è che viviamo in un’epoca frettolosa e distratta in cui il massimo che molti sembrano essere in grado di fare è correre a prendere un treno… senza sprecare tempo in formalità e frasi gentili”.
In realtà, sembra proprio che la maleducazione sia in aumento. Come ha scritto di recente la ricercatrice Christine Porath in un suo articolo pubblicato dal New York Times: rispetto agli anni novanta, oggi le probabilità di osservare comportamenti sgarbati nei posti di lavoro sono raddoppiate. Ma la spiegazione che ne dà non è diversa da quella del 1899. Lo studio di Porath dimostra che circa il 40 per cento di noi, in tutti i settori, sostiene di essere sgarbato perché non ha tempo per essere gentile.
L’idea che la scortesia faccia risparmiare tempo, mentre la gentilezza ce lo fa perdere, è profondamente radicata nella nostra cultura (pensate all’espressione “tagliar corto”, che indica risparmiare tempo impedendo scortesemente a qualcuno di replicare).
Ma, a rifletterci bene, è un concetto bizzarro. Tanto per cominciare, molte forme di cortesia non richiedono tempo: non si fa prima a essere accigliati che a sorridere, né a parlare sottovoce al telefono piuttosto che urlare quando si è in treno. Inoltre, a giudicare dalla ricerca di Porath, nei posti di lavoro, essere scortesi non è quasi mai un modo per risparmiare tempo: quando un capo tratta male i dipendenti, il loro livello di produttività e di creatività cala notevolmente, e quindi alla fine dei conti la scortesia rallenta il lavoro. Le persone sgradevoli che arrivano a occupare posti di potere, ci riescono malgrado, e non grazie, alla loro sgradevolezza.
La spiacevole sensazione di essere troppo impegnati ci fa diventare impazienti
In inglese, un chiaro esempio dell’idea sbagliata del rapporto tra tempo e cortesia è l’abitudine ormai diffusa di concludere le email di lavoro con un’espressione come “Rgds” (che sta per regards, saluti), così orribile che dovrebbe essere vietata dalla convenzione di Ginevra.
A questo punto è meglio eliminare del tutto i saluti, io spesso lo faccio. Ma “Rgds” è un goffo tentativo di non rinunciare a una formalità, attirando al tempo stesso l’attenzione sul fatto che la persona che scrive non è disposta neanche a sprecare quei millisecondi in più necessari per scrivere altre tre lettere. Si rischia di offendere qualcuno, senza aver risparmiato neanche un secondo: è una scortesia che non paga (un po’ come le email che a volte ricevo dagli addetti stampa, chiaramente dirette a centinaia di giornalisti, che cominciano con la frase: “Spero che lei stia bene”. Non è detto che sia così, allora, perché parlarne?).
Da tutto questo emerge chiaramente che la scortesia indotta dalla fretta è molto più emotiva, e meno calcolata, di quanto potrebbe apparire a prima vista. Nessuno prende la decisione razionale di risparmiare qualche secondo da una parte per poterlo utilizzare da un’altra.
È piuttosto che la spiacevole sensazione di essere troppo impegnati ci fa diventare impazienti, il pensiero delle cose che abbiamo da fare distrae la nostra attenzione dalle persone con cui stiamo parlando, e il risultato finale è la scortesia. Spesso la tecnologia peggiora le cose: da alcuni studi è emerso che la cultura digitale incoraggia uno stile di comunicazione digitale nel quale distribuiamo l’attenzione in modo frammentario, prestandola agli altri quando abbiamo bisogno di informazioni, e togliendogliela improvvisamente appena le abbiamo ottenute, senza nulla che somigli alla fluidità di una normale conversazione.
Insomma, può sembrare che la scortesia ci faccia risparmiare tempo, ma non è così. Stiamo semplicemente reagendo allo stress. Capito? Grz.
(Traduzione di Bruna Tortorella)