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Quello che noi umani faremo sempre meglio delle macchine

Andy Ryan, Getty Images

Immaginate di essere, diversamente da me, un giovane ingenuo che ha appena finito gli studi, non ha ancora scoperto l’insensatezza dell’esistenza umana e deve decidere che lavoro fare. Preferibilmente un lavoro che non diventerà obsoleto nel giro di pochi decenni a causa della tecnologia.

Lavorare in fabbrica è fuori questione. E anche guidare un taxi, dato che presto ci saranno le auto senza conducente. Ma le cose non andranno meglio per i contabili, gli avvocati e i giornalisti: i computer gestiscono già gli aspetti più semplici di queste professioni. Esistono programmi che correggono i temi quasi con la stessa precisione degli insegnanti e fanno diagnosi mediche più accurate di quelle dei dottori.

Un tempo i tecnottimisti erano convinti che l’automazione avrebbe creato più posti di lavoro, ma adesso qualcuno comincia a chiedersi se per caso non avessero ragione i luddisti: quando l’intelligenza artificiale sarà completamente sviluppata, potrebbe sostituirci tutti?

Il nostro cervello si è evoluto allo scopo di avere ottime interazioni con gli altri esseri umani

La storia è piena di esempi di persone convinte che questa o quella attività fosse troppo complessa per le macchine, e che poi sono state smentite dalle macchine solo pochi anni dopo.

Questo quadro scoraggiante è abbastanza realistico, afferma Geoff Colvin nel suo ultimo libro Humans are underrated (Gli esseri umani sono sottovalutati), ma c’è ancora qualche speranza.

Se vogliamo sopravvivere in un futuro ad alta tecnologia, sostiene Colvin, dobbiamo smettere di chiederci se c’è qualcosa che i computer non saranno mai capaci di fare, perché probabilmente la risposta è “nulla”. Dovremmo piuttosto cominciare a chiederci: “Quali attività, secondo noi, dovranno sempre essere affidate agli esseri umani?”.

La tesi sarebbe questa: nel corso di centinaia di migliaia di anni, il nostro cervello si è evoluto allo scopo di eccellere nell’interagire con gli altri esseri umani, e ogni volta che lo facciamo ci sentiamo appagati.

Ci sono cose che devono essere fatte necessariamente dalle persone. Sentiamo che è così e per motivi non facili da spiegare.

In un processo penale, un computer può anche valutare perfettamente le prove, ma vogliamo comunque che sia un giudice umano ad assumersi la responsabilità della sentenza. I software per il riconoscimento delle emozioni possono anche battere qualsiasi psicanalista – questa tecnologia è già abbastanza avanzata – ma vogliamo comunque essere ascoltati da un essere umano.

Tormentoni aziendali

Per quanto un computer possa correggere bene un compito, gli studenti hanno ancora bisogno di trarre ispirazione da insegnanti in carne e ossa. E anche se una macchina potesse finire di scrivere tutta la saga di Game of thrones, i lettori non sarebbero contenti: vogliono che quelle parole vengano dalla mente di uno specifico essere umano.

Se è veramente così, significa che c’è un pizzico di verità nei tormentoni aziendali sull’importanza di formare dipendenti più empatici o di rendere i marchi “più umani”.

Quando la tecnologia avrà colonizzato tutto il resto, le attività più apprezzate resteranno quelle che non vorremmo veder svolgere dalle macchine, anche se fossero capaci di farlo. Smetteremo di essere “lavoratori della conoscenza”, dice Colvin, e diventeremo “lavoratori dei rapporti umani”. Per quanto melensa possa sembrare, questa espressione coglie bene il punto principale: gli esseri umani hanno bisogno di umanità, perciò è quella che continuerà ad avere un valore di mercato.

E non è solo una questione economica. Spiega anche perché, per esempio, le interazioni dirette sono così importanti per il nostro benessere: non perché la comunicazione su internet sia sbagliata, ma perché il nostro cervello è fatto per gli scambi interpersonali, con tutti i segnali fisici e visivi che comportano. In poche parole, i computer potranno modificare e svolgere tutte le attività umane (e probabilmente lo faranno) tranne una: quella di essere umani.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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