La scrittrice di best seller da non invidiare
La scrittrice Danielle Steel ha dato alle stampe 179 romanzi, al ritmo di sette all’anno e, per quanto ne so, potrebbe averne prodotto qualcun altro tra il momento in cui scrivo questa rubrica e quello in cui voi la leggerete. Ma come fa? In un’intervista appena pubblicata dalla rivista Glamour, ha rivelato il trucco alla base del suo successo: lavora sempre.
Con “sempre” intende almeno 20 ore al giorno, qualche volta anche 24, e si prende solo una settimana di vacanza all’anno. Immagino già la vostra domanda, e la risposta è: il suo modello è Margaret Thatcher. “Non vado a letto finché non sono così stanca che potrei dormire sul pavimento”, ha dichiarato Steel durante l’intervista. “Se dormo quattro ore, per me è giù una bella nottata di sonno”.
È una spiegazione estremamente concreta – se vuoi scrivere molto, scrivi molto! – e a rimanerne ammirata non è stata solo l’intervistatrice; anche altri, come il sito web Quartz, hanno usato lo stesso tono entusiastico. “Come si fanno le cose? Facendole e basta. Non è fantastico? È l’unico trucco che funziona nella vita”. Ma, in quanto psicologo dilettante senza alcuna qualificazione specifica e pertanto non tenuto a rispettare la “regola Goldwater”, secondo cui non bisognerebbe mai fare diagnosi su personaggi pubblici a meno di non conoscerli personalmente, mi permetto di dare un’interpretazione alternativa: Steel ha un problema.
Scendere a patti
Prima dell’arrivo della gig economy, cioè quando esisteva ancora il posto fisso e non bisognava dimostrare continuamente quello che si sapeva fare, sarebbe stata definita una “drogata del lavoro”, e il suo sarebbe stato considerato un atteggiamento compulsivo probabilmente motivato dall’ansia, dalla poca stima di sé o dal rifiuto di affrontare le difficoltà della vita.
E probabilmente Steel, che sicuramente ha conosciuto la sofferenza, sarebbe d’accordo con me. Il lavoro “è il mio rifugio”, ha dichiarato una volta. “Anche quando nella mia vita personale è successo qualcosa di brutto, è sempre lì che sono andata a rintanarmi”.
Non dovremmo invidiare Steel per la sua produttività o concludere che “probabilmente non ci impegniamo abbastanza”
Siamo chiari, nel dire che Steel è nevrotica non intendo minimamente esprimere una critica nei suoi confronti. Lo siamo un po’ tutti, a vari livelli, e lo dimostriamo nei nostri comportamenti. Anzi, secondo una visione della psicologia – di solito associata alla vecchia scuola psicoanalitica – si potrebbe leggere la biografia di chiunque come un continuo tentativo di scendere a patti con le proprie eccentricità, i primi anni dell’infanzia e gli eventi dolorosi della propria vita.
L’unica cosa insolita del comportamento compulsivo di Steel è che ha procurato piacere a milioni di lettori mentre, nella maggior parte dei casi, quando cerchiamo di risolvere i nostri dilemmi, involontariamente rendiamo la vita più difficile a chi ci circonda.
Questo comunque non significa che dovremmo invidiare Steel per la sua produttività o concludere, come l’autore dell’articolo di Quartz, che “probabilmente non ci impegniamo abbastanza”. Tanto per cominciare, ognuno di noi hai i suoi problemi. Inoltre, se ci manca la motivazione specifica che spinge certe persone a essere iperproduttive, probabilmente per quanto ci sforziamo non riusciremo mai a emularle.
Loro vogliono produrre un’enorme mole di lavoro, mentre noi vorremmo solo essere il tipo di persone che vogliono svolgere un’enorme mole di lavoro, il che non è proprio la stessa cosa. Essere davvero motivati è molto diverso da dover trovare la forza di volontà per esserlo.
Consigli di lettura
Il libro di Miya Tokumitsu del 2015 Do what you love. And other lies about success and happiness (Fai quello che ami. E altre bugie sul successo e la felicità) sottolinea come l’idea di lavorare per la pura gioia di farlo sia stata abilmente sfruttata dalle grandi multinazionali.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.