Attenti ai tranelli del capitalismo del comfort
Il minimalismo è morto. Lo stile di vita che ha dominato gli anni dieci è defunto l’anno scorso, quando Marie Kondo ha aperto un negozio online che vende articoli di lusso per la casa, distruggendo così l’illusione che mettere ordine significava comprare meno cose piuttosto che fare spazio per nuovi oggetti. Il nuovo libro di Kyle Chayka The longing for less. Living with minimalism, può essere considerato il suo necrologio. Il minimalismo sembrava “un modo responsabile di rapportarsi con il mondo dopo aver capito che il materialismo sta letteralmente distruggendo il pianeta”, scrive Chayka. Ma ben presto è diventato un altro tipo di materialismo, un modo per permettere al sistema che ha creato il problema di fare altri soldi vendendoci quello per cui sosteneva di essere la cura.
A adesso? C’è la mercificazione del comfort. Nei libri, il processo che potremmo definire di hyggificazione, dalla parola danese hygge, che non ha una traduzione precisa ma suggerisce l’idea di una calda intimità e del piacere delle cose semplici, è già così avanzato che è perdonabile non saper ancora distinguere tra lykke e lagom, ikigai e nunchi (che indicano varie sfumature di felicità in danese, svedese, giapponese e coreano). Ma possiamo aspettarci che in breve tempo l’idea si diffonderà nel resto dell’economia di consumo.
Piatti casalinghi e costosissimi
Il mondo è un luogo sempre più allarmante e la prospettiva di chiudere la porta e lasciarlo fuori ci attira sempre di più. Adesso quello che va di moda sono le coperte morbide e leggere o quelle “ponderate” – che in origine erano usate per curare i disturbi dell’autismo ma adesso sono vendute come sollievo dallo stress per tutti – le copertine di pile “indossabili” e i piatti casalinghi, ma ovviamente preparati con ingredienti costosissimi.
“Prima a darci conforto era una casa dalle pareti bianche senza mobili, mentre adesso è una casa dell’ottocento con quadri scuri alle pareti”, scrive Helena Hambrecht, cofondatrice dell’azienda produttrice di aperitivi a basso tasso alcolico Haus, che si autodefinisce il conforto in una bottiglia. “Siamo stati seduti davanti al computer nei nostri appartamenti moderni per dieci anni e adesso siamo tutti infelici”.
Il messaggio apparente è quello di “accontentarsi”, ma è un tranello
Il fatto che sia il minimalismo sia la tendenza chiamata “comfort domestico” o homebody economy basino il loro fascino sull’anticonsumismo (minimalismo in teoria significa possedere di meno e comfort ritirarsi da un mondo in cui si spende e si accumula per rifugiarsi nel presunto spazio non commerciale del focolare e della camera da letto), è la prova incontestabile della genialità del capitalismo del consumatore. Ma ovviamente è un tranello. Il messaggio apparente è quello di “accontentarsi”, ma in realtà promuove l’idea sulla quale si basa ogni forma di consumismo: quello che abbiamo adesso non è sufficiente e prima di sentirci completamente a nostro agio dobbiamo comprare qualcosa.
L’unico vero modo per resistere è considerare la possibilità che, in fondo, il nostro soggiorno e la nostra camera da letto vanno bene così come sono, e se nella vita dobbiamo cambiare qualcosa – ma forse no! – non è detto che questo richieda un acquisto (“Diffidate di tutte le imprese che richiedono nuovi vestiti e non un nuovo indossatore di vestiti”, diceva Henry David Thoreau).
Il che non significa che non ci sia qualcosa di importante alla base di questo spostamento verso tutto quello che è domestico, locale, a portata di mano. Come dice il poeta ecologista Gary Snyder: “La cosa più rivoluzionaria che possiamo fare è restare a casa”. Ma sono abbastanza sicuro che Snyder non intendeva dire che è arrivato il momento di sostituire tutte le nostre pentole e coperte con qualcosa di più costoso.
Consigli di lettura
La saggista Rebecca Solnit riflette sul radicalismo di scegliere “il mondo localizzato” in un articolo sulla rivista Orion, disponibile online.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.