A Roma la politica miope distrugge luoghi di cultura e resistenza
A Roma, a San Lorenzo, quartiere popolare e studentesco, esiste, da vent’anni, una palestra in cui i muscoli e la pancia piatta non sono tutto. Si chiama Palestra popolare, è piccola ma ha tutto il necessario per i corsi di capoeira, kik boxing, pugilato, karate, arrampicata, yoga, thai box, tai chi. Ha più o meno 500 iscritti, tra cui più di cento bambini. Di questi molti sono bambini in situazioni difficili, che hanno il sostegno a scuola o problemi in famiglia. Loro non pagano niente, tutti gli altri pagano poco. Gli istruttori e le istruttrici delle varie discipline guadagnano poco.
Sono persone che all’apprendimento e all’insegnamento di quella disciplina dedicano la vita, preferendo lavorare in uno spazio autogestito, in cui fare sport non significa solo tenersi in forma, ma crescere assieme. Grazie anche a lavori con le scuole e con le associazioni del territorio capoeria e taekwondo entrano a far parte della formazione di ragazze e ragazzi per cui spesso l’alternativa è la strada, il non far niente, o il fare danni.
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Lo spazio, in via dei Volsci, fino al 1997 era uno dei tantissimi immobili del comune di Roma dismessi e abbandonati. Occupato da un collettivo, ripulito, trasformato, con tempo e fatica, in palestra, è stato poi affidato in concessione dal comune di Roma, con la delibera 26, approvata nel 1995, quando il sindaco di Roma era Francesco Rutelli, che regolamenta l’utilizzo degli immobili di proprietà comunale per scopo sociale, culturale e ricreativo, concedendoli o affittandoli a un prezzo basso, agevolato.
La concessione della Palestra popolare è scaduta nel 2014. La richiesta di rinnovo è stata regolarmente mandata ma nessuno ha mai risposto. Nel frattempo entrava in vigore la delibera 140, voluta da Ignazio Marino, che vorrebbe togliere gli spazi sociali a chi li ha recuperati e fatti funzionare per riassegnarli attraverso un bando pubblico, nel frattempo poi Marino si è dimesso e c’è stata Mafia capitale. E nessuno ha mai risposto alla richiesta della palestra, che ha continuato a pagare l’affitto, e ad aspettare.
Forse i mezzi con cui questi spazi sono nati non hanno rispettato la legalità. Ma sono andati a coprire dei vuoti
Allora forse, il commissario prefettizio, mi viene da pensare, dovrebbe cercare di distinguere i casi. Sarebbe bello, per esempio, se andasse un pomeriggio alla Palestra popolare di San Lorenzo, a vedere i bambini che fanno kung fu, potrebbe, magari, parlare un po’ con loro e con i loro genitori. Anche mandarci qualcuno in sua vece potrebbe andar bene. Anche se lui non è il sindaco, anche se manca poco alle elezioni.
Perché sennò il rischio è che a voler riportare la legalità, a voler tornare a fare incassare al comune quanto è giusto, si distruggano proprio quei pochi spazi che combattono anche contro la speculazione immobiliare. Da anni. In molti quartieri.
Mi si potrà dire che i mezzi con cui questi spazi sono nati non hanno rispettato la legalità. È vero, ma sono andati a coprire dei vuoti, quelli lasciati proprio dalle istituzioni, sono andati a riempire posti che erano pubblici, quindi di tutti, li hanno sottratti all’abbandono, al disuso, al famoso degrado. Li hanno puliti, curati, riempiti di persone e di voci, di storie. Si occupano di quei ragazzi figli di migranti di cui tanta paura si ha, come pochi altri fanno. Convogliano le energie verso una cosa concreta e buona come lo sport. Cose che la delibera 26 riconosceva e ha riconosciuto per anni. Non sono mondi incantati dove tutti sono buoni e tutto funziona a meraviglia, ma sono comunque dei tentativi concreti di fare qualcosa per gli altri e con gli altri, di vivere, mi viene da dire, una vita resistente.
Se volesse, il commissario prefettizio, o chi per lui, potrebbe, quel pomeriggio, fare un giro più lungo per il quartiere e andare a vedere gli altri spazi che hanno ricevuto la stessa ingiunzione di sgombero: partendo dal cinema Palazzo, che è lì accanto, passando per Esc, spazio studentesco, il parco dei Galli e Particella 26, spazi verdi restituiti ai cittadini da associazioni di volontari, il Grande Cocomero. Sì, il Grande Cocomero, quello famoso del film di Francesca Archibugi, il centro specializzato nella ricerca e la cura nel campo della psichiatria infantile ispirato al lavoro di Carlo Lombardo Radice, dove tutti lavorano gratis. Dovrebbe, secondo il comune, pagare decine di migliaia di euro di arretrati e poi, comunque, andarsene.
Così come, a voler continuare a girare per Roma, a conoscere Roma, gli altri spazi che rischiano di sparire: dalla Torre, vecchia cascina nella valle dell’Aniene, ad Auro & Marco a Spinaceto, dall’associazione Roma insieme, che si occupa delle donne detenute, al Corto circuito, punto di riferimento del Lamaro, quel quartiere ai bordi di periferia dove i tram non vanno avanti più.
Dopo i casi di sgombero degli ultimi anni del teatro Valle, l’Angelo Mai, il cinema America, Scup.
A me, sarò forse ingenua, sembra ingiusto. E mi viene in mente Natalia Ginzburg, che ha scritto in Serena Cruz o la vera giustizia, in altri anni e per altre questioni, parole universali, che disarmano nella loro semplicità:
Le leggi non devono essere sempre dure. Devono essere giuste. E chi le applica deve riempirle di occhi e orecchie, per sentire e vigilare quando sia necessario usare la fermezza e quando la tolleranza e la comprensione. Soprattutto le leggi non possono essere dei capestri per gli uomini. Devono essere invece a servizio e a soccorso degli uomini.