Il 7 ottobre è uscito Le inseparabili, un inedito di Simone de Beauvoir. Prefazione e titolo sono stati scelti dalla figlia ed esecutrice testamentaria, Sylvie Le Bon de Beauvoir. Anteprima: colpo di fulmine lesbico e delusione amorosa tra due giovani borghesi cattoliche nel fucking heart della filosofia francese tra le sue guerre. Sviluppo: Sylvie (Simone de Beauvoir) incontra Andrée (Elisabeth Lacoin, detta Zaza) alla scuola cattolica quando entrambe hanno appena nove anni. Tra le due bambine nasce un’amicizia che, seppur infantile, non può essere definita platonica, perché Sylvie e Andrée hanno un bisogno fisico l’una dell’altra. Le due diventano inseparabili. Sylvie si innamora di Andrée e lo comunica con dichiarazioni effusive e passionali. Ma Andrée, cresciuta in una famiglia cattolica conservatrice, non accetta le conseguenze di un amore lesbico con Sylvie. Rifiutando le avance dell’amica, si getta (abbastanza castamente) tra le braccia di Pascal (Maurice Merleau-Ponty).
Sylvie subisce il primo trauma amoroso, e capisce che l’unica strada socialmente accettabile per una donna negli anni venti passa dall’amore eterosessuale.
Per questo motivo, poco a poco, Sylvie comincia a interessarsi a uno studente di filosofia di tre anni più grande. Si tratta di Jean-Paul Sartre, di cui non si parla mai direttamente nel racconto anche se è menzionato nelle Memorie e nelle lettere a Zaza. La giovane Sylvie si rende conto che esattamente come quello femminile è il secondo sesso rispetto alla mascolinità dominante, il suo amore lesbico non è altro che una seconda sessualità, una posizione marginale e rischiosa rispetto alla norma eterosessuale.
Doppio desiderio
I lettori di de Beauvoir conoscono bene la storia di Zaza, grazie alle Memorie di una ragazza per bene. La differenza è che nelle memorie de Beauvoir non parla né del suo desiderio sessuale per Zaza né della conseguente delusione. Perché de Beauvoir non ha voluto pubblicare il romanzo quando era ancora in vita? Forse temeva che la diffusione della sua prima storia d’amore lesbica, cinque anni dopo la pubblicazione del Secondo sesso, le attirasse altre critiche e altri insulti? Ma se davvero non voleva che fosse pubblicato, allora perché ha battuto il romanzo a macchina, con estrema cura, anziché distruggerlo? Perché questo doppio desiderio contraddittorio, salvare e cancellare, da parte di un’autrice che ha dedicato più di tremila pagine al racconto della sua vita con dettagli ossessivi, dalla nascita il 9 gennaio del 1908, alle quattro del mattino, fino quasi al giorno della sua morte, il 14 aprile 1986? Qual è il rapporto, per Simone de Beauvoir, tra il flusso di parole e il silenzio, tra la scrittura e il controllo, tra l’archivio e la censura?
De Beauvoir è come uno specchio capace di riflettere i cambiamenti storici del femminismo
Si dice che sia stato Sartre a consigliarle di non pubblicare il racconto, perché lo considerava incompiuto e poco interessante. Qual è stato il ruolo di Sartre nel limitare la critica di Simone de Beauvoir al patriarcato, l’espressione del suo pansessualismo (o della sua alternanza tra il lesbismo e l’eterosessualità, per usare i termini dell’epoca) e la sua pratica di quello che oggi chiameremmo poliamore e che allora si chiamava amore libero? Perché il racconto è stato pubblicato proprio ora, sessantasei anni dopo essere stato scritto e nascosto?
Il testo che abbiamo tra le mani è la versione completa (alcune lettere del quaderno interiore sono tagliate) o ci sarà una nuova edizione porno tra altri sessantasei anni? Sartre si sta rivoltando nella tomba? O forse è de Beauvoir ad aver lasciato definitivamente il tumulo di Sartre? Ricordiamo che è stata sepolta nella tomba di Sartre a Montparnasse, sei anni dopo il filosofo. Questa pubblicazione è l’ultima rivelazione della leader del femminismo bianco occidentale? De Beauvoir è come uno specchio capace di riflettere i cambiamenti storici del femminismo. Negli anni settanta è stata considerata la leader delle lotte per l’aborto, negli anni ottanta l’iniziatrice del femminismo costruttivista e negli anni novanta la voce premonitrice del femminismo queer. E ora? Diventerà la regina delle Amazzoni?
Identificazione lesbica
Al suo meglio, il nuovo racconto di de Beauvoir ricorda Ogni cosa è da lei illuminata di Annemarie Schwarzenbach o il classico dimenticato Risposte nella polvere di Rosamond Lehmann, che sicuramente Beauvoir conosceva. Al suo peggio, fa pensare a La volpe, film di Mark Rydell del 1967 in cui il desiderio lesbico è seguito dalla frustrazione, la punizione e la morte. Come in La volpe, la storia delle Inseparabili si conclude tragicamente con la morte di Andrée, un riferimento diretto alla morte brutale di Zaza, a ventidue anni. L’amore per Zaza e la sua scomparsa hanno sempre tormentato de Beauvoir, che disse: “Avevo pagato la mia libertà con la sua morte”.
Ma al centro di quell’esperienza non c’è solo la terribile morte di Zaza. Per de Beauvoir a morire è stata anche la possibilità di un’identificazione lesbica. Quella che chiama “libertà” è la sua vita pubblica di filosofa compagna di Sartre, che pur essendo il suo partner sessuale soltanto per un breve periodo ha ricoperto il ruolo pubblico di “compagno”, garantendo a de Beauvoir un’identificazione eterosessuale normativa per tutto il corso della vita.
Non cercate trasgressione sessuale o letteraria, in questo romanzo. Simone de Beauvoir non è Violette Leduc, così come Sylvie e Andrée non sono Thérèse e Isabelle. Non ci sono cinquanta sfumature di de Beauvoir. Il sesso ardente di Andrée è rappresentato solo in una forma indiretta: la cicatrice lasciata da una bruciatura alla coscia destra, che invisibilmente attira Sylvie come un magnete. “Pensavo alla sua coscia gonfia, sotto la sua piccola gonna”. Dietro le gonne della femminilità eterosessuale si nasconde l’ardore del desiderio lesbico. Ma è Simone, e non Zaza, a bruciare per una passione che deve sublimare in quella che Sylvie Le Bon de Beauvoir definisce “una grande ed enigmatica amicizia”. No, non era un’amicizia. Era un amore lesbico.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Libération.
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