Finora c’è una sola certezza: Mario Monti, l’attuale presidente del consiglio in carica per gli affari correnti, dovrà aspettare prima di lasciare palazzo Chigi dove è arrivato nel novembre 2011.
“Questo governo non vede l’ora di essere sollevato dal suo incarico”, aveva detto, stanco e deluso, la settimana scorsa in parlamento dove aveva dovuto spiegarsi sulle dimissioni a sorpresa del suo ministro degli esteri.
Ma nel discorso di sabato 30 marzo, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha detto di no (per ora) alla sua tentazione di Venezia (o Bruxelles): “Benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal parlamento”, il governo resta in carica. Del resto, questa è stata la sola cosa più o meno comprensibile del suo discorso.
E la situazione, se non fosse così grave per la terza economia della zona euro in recessione da sei trimestri consecutivi (record europeo), potrebbe anche essere divertente.
In realtà vi si potrebbe anche vedere un po’ di malizia da parte di Napolitano, che non aveva apprezzato le dimissioni di Monti nel dicembre 2012 dopo una minaccia di voto di sfiducia da parte del Popolo della libertà, il partito fondato da Silvio Berlusconi.
Partito pieno di entusiasmo alla conquista di un ipotetico elettorato di centrodestra non berlusconiano, confondendo popolarità nei sondaggi e intenzioni di voto, vanitoso e inesperto, incoraggiato da tutti coloro che contavano su di lui per salvare il loro seggio, Monti ha concentrato sulla sua persona tutte le critiche rivolte all’Europa e al rigore.
Così è tornato dalla sua prima (e probabilmente unica) esperienza elettorale, abbattuto e sconfitto. E del tutto ininfluente nel grande gioco politico in corso, se non nel posto in cui Napolitano lo ha confermato a tempo indeterminato. “Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala”, come dicono gli italiani.
Così in questa Pasqua, la Via Crucis del governo dei professori continua, con grande dispiacere dei suoi ministri, passati di moda così presto con il Gangnam style. Ma c’è una consolazione: Napolitano sa bene che Monti rimane – a torto o a ragione – un valore sicuro sulla scena europea e per i mercati, come quei cantanti passati di moda nel loro paese ma che continuano per ragioni inspiegabili ad avere successo in Giappone o in Sudamerica.
La sua crudeltà – se di crudeltà si può parlare – è anche un segnale della fiducia che accorda ancora al “marchio di fabbrica” Monti. Si vedrà martedì all’apertura dei mercati se questa fiducia è ancora fondata.
Per il resto, tutto è molto meno chiaro. Prendendo atto del fallimento di Pier Luigi Bersani, il leader della coalizione di sinistra – che ha la maggioranza alla camera ma non al senato – di trovare una maggioranza per formare un nuovo governo, il vecchio presidente (88 anni a giugno) il cui mandato terminerà il 15 maggio, si è detto pronto a lavorare fino all’ultimo giorno per trovare una soluzione alla crisi politico-istituzionale.
Non potendo sciogliere le camere nate dalle ultime elezioni, Napolitano ha annunciato la creazione di due gruppi di lavoro costituiti da personalità politicamente diverse, incaricati di dare forma a un programma comune di riforme. Dopodiché, lui o il suo successore designerà la personalità incaricata di metterlo in pratica.
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