La calma regna a Roma. Ma è solo apparente. Due settimane dopo il suo insediamento a palazzo Chigi, sede della presidenza del consiglio, il giovane Enrico Letta porterà domenica e lunedì tutto il suo governo in un’antica abbazia toscana.
Secondo un tweet inviato dal capo del governo, questo ritiro ha ufficialmente il compito di “programmare, conoscersi, fare spogliatoio”, per un esecutivo di coalizione composto da membri della sinistra, della destra e del centro che si sono combattuti per tutta la campagna elettorale e, più in generale, per vent’anni.
Sì, la calma regna. Condannato in appello mercoledì 8 maggio a quattro anni di prigione (di cui tre già amnistiati) e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale, Silvio Berlusconi sembra controllare la sua rabbia. La prova è che ha atteso 24 ore per reagire dicendo di voler tenere “separati i suoi problemi personali e il suo ruolo nel governo e nelle riforme”.
Mentre si temeva che staccasse la spina e facesse cadere il governo per provocare nuove elezioni (nelle quali, secondo i sondaggi, avrebbe praticamente un trionfo), Berlusconi invece temporeggia, con grande rabbia dei falchi del suo partito che vorrebbero mettere la parola fine a questo governo.
Il Cavaliere aveva espressamente chiesto ai suoi ministri di non partecipare al comizio di sabato a Brescia contro la “persecuzione giudiziaria” di cui si dice oggetto. Perché allora tanto
self-control, quando lunedì dovrebbe essere pronunciata la requisitoria nel processo Ruby per cui rischia tre anni di carcere per sfruttamento della prostituzione minorile e 12 anni per concussione? Perché questa zen attitude mentre la procura di Napoli ha chiesto giovedì 9 maggio il suo rinvio a giudizio per aver “comprato” nel 2006 il voto di un senatore di sinistra?
La risposta è: perché gli torna comodo, politicamente e finanziariamente. Infatti secondo i sondaggi gli elettori del centrodestra sembrano apprezzare il suo atteggiamento “responsabile”. Proponendo un governo di larga intesa all’indomani delle elezioni del 24 e 25 febbraio, mentre Pier Luigi Bersani si isolava nella ricerca di un impossibile dialogo con il Movimento 5 stelle, Berlusconi ha voluto offrirsi una tardiva statura di uomo di stato di cui non vuole sbarazzarsi subito.
Il vantaggio di questa situazione è duplice. In primo luogo potrà attribuire a lui e al suo partito, il Popolo della libertà, tutte le riforme che lo soddisferanno (riduzione delle imposte) e attribuire alla sinistra la responsabilità di quelle che falliranno. È il famoso “testa vinco io, croce perdi tu”. In secondo luogo la quotazione in borsa delle azioni della sua società Mediaset ha fatto un balzo in avanti del 50 per cento da quando si è riavvicinato al potere, dimostrando ancora una volta l’interesse… del conflitto d’interessi. Allontanarsi dall’esecutivo di cui garantisce la sopravvivenza, anche per una campagna elettorale data per vincente, è un rischio che non vuole correre.
Sì la calma regna. Anche il Partito democratico, che non ha saputo vincere le elezioni senza veramente perderle, non ha altra scelta che sostenere questo governo di coalizione. Non essendo riuscito in sei anni a unificare le due anime del partito che lo compongono - una proveniente dalla Democrazia cristiana, l’altra dal Partito comunista italiano - il Pd si ritrova ancora una volta lacerato.
In caso di nuove elezioni i sondaggi pronosticano la vittoria del giovane (38 anni) Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Proveniente dalla Dc, accettabile per una parte della destra liberale e della sinistra socialdemocratica, Renzi è già di per sé una coalizione. Dall’altro lato c’è la base del partito, del tutto contraria a qualunque forma di intesa con la destra. Decine di sezioni del Pd sono occupate dai militanti, spesso giovani, che hanno battezzato il loro movimento Occupy Pd.
In queste condizioni e in mancanza di una chiarificazione, è necessario aspettare. Decidere fin da adesso tra le sue due anime porterebbe quasi sicuramente a una scissione. L’assemblea dei delegati nazionali che ha eletto Guglielmo Epifani segretario generale per sostituire il dimissionario Bersani, arriva al momento giusto per guadagnare tempo in attesa di un congresso previsto in autunno.
Sì la calma regna a Roma. Quando domenica salirà con i suoi ministri a bordo del pullman che li porterà in Toscana, Enrico Letta conoscerà l’esito della manifestazione di Brescia e dell’assemblea del Pd. E in un certo senso i margini di manovra, programmatici e temporali, di cui disporrà il suo governo. La sua fortuna è che i due vulcani politici che lo sovrastano - il Pd e il Pdl - sono provvisoriamente spenti.
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