Lunedì 24 giugno tre magistrati donna, Carmen D’Elia, Orsola De Cristofaro e Giulia Turri, hanno condannato Silvio Berlusconi a sette anni di prigione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici nel processo Rubygate, in cui era accusato dall’aprile 2011 di concussione e di prostituzione minorile. Questi magistrati hanno addirittura aumentato di un anno la pena richiesta dal procuratore Ilda Boccassini.

Anche se non è finita questo lunedì, la carriera politica di Berlusconi, già condannato la settimana scorsa a cinque anni di carcere per frode fiscale, ha comunque subìto una nuova battuta d’arresto. In realtà di condanne ne ha conosciute diverse senza che nessuna diventasse definitiva: la prescrizione dei reati o la loro depenalizzazione, lo hanno sempre salvato da una condanna definitiva. La complessità dei fatti (corruzione, frode fiscale) gli hanno risparmiato un giudizio politico troppo severo da parte degli italiani. La sua potenza mediatica gli ha sempre permesso di presentarsi come il “Cavaliere immacolato ingiustamente accusato dai giudici rossi” e di convincere una parte della popolazione della sua innocenza.

Ma il caso Ruby è di tutt’altra natura. Anche se a causa della sua età (76 anni) e delle possibilità di appello è poco probabile che Berlusconi vada in prigione, l’accusa ha comunque un carattere infamante. E questo forse è la cosa peggiore per lui. Il caso Ruby è semplice, limpido e cristallino. Qui non ci sono conti off shore, complessi circuiti finanziari, denaro che passa di mano. Tutto si svolge direttamente tra “produttore” e “consumatore”.

Una ragazza minorenne all’epoca dei fatti, Karima el Mahroug, entra nell’intimità dell’uomo più potente d’Italia grazie agli amici di quest’ultimo. La ragazza passerà diverse notti nella sua residenza di Arcore, in Lombardia, teatro delle calde notti del bunga bunga, dove si affollano decine di escort girl debitamente retribuite. Tutte dispongono di uno “stipendio” e di un appartamento in via Olgettina a Milano.

Ma Karima ha ben altre ambizioni. Questa giovane marocchina cresciuta in Sicilia è una minaccia. Quando è arrestata per furto, nel maggio del 2010, Berlusconi cerca in tutti i modi, anche attraverso pressioni di vario genere, di farla rilasciare dal commissariato di Milano per affidarla a un consigliere comunale – anziché a una comunità di accoglienza per minori in difficoltà – che a sua volta consegna la ragazza a una prostituta. “È la nipote di Mubarak”, dice Berlusconi, “ho voluto impedire un incidente diplomatico”. In realtà teme che la ragazza parli troppo.

Ruby sa come approfittare della sua giovane età. Il suo silenzio vale molto denaro. Molto più di un bilocale a via Olgettina e uno stipendio di tremila euro al mese per i servizi resi, come le sue colleghe. Quest’ultima confessa che Berlusconi, impietosito dalla sua storia edificante, gli abbia dato 50mila euro per aprire un salone di bellezza. Gli investigatori parlano invece di quattro milioni di euro. Il tribunale ha chiesto la confisca dei suoi beni già messi sotto sequestro.

La decisione dei magistrati hanno mandato in frantumo questa favola, quella del Berlusconi-Jean Valjean che corre in soccorso dell’orfana Karima-Cosette di 17, ma che ne dimostra 25, che voleva sfuggire alla sua povera condizione. Per questi giudici Berlusconi non è quel casanova, quel latin lover che si è sempre vantato di essere e al quale non si può resistere. Questi magistrati hanno rimesso il caso Ruby nella sua giusta dimensione. Una dimensione tristemente venale.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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