L’eclissi di Maurizio Lupi
Ecco uno che ha il senso dello spettacolo. Dopo 48 ore di resistenza il ministro dei trasporti Maurizio Lupi, sospettato di corruzione anche se non è indagato nell’inchiesta che ha portato all’arresto di due suoi collaboratori (l’ex direttore tecnico del suo ministero Ercole Incalza e l’imprenditore Stefano Perotti) ha scelto dopo 48 ore di resistenza di dimettersi dal governo. Nello stesso momento, a Roma come altrove, una parte di sole scompariva dietro la luna.
Negli ultimi giorni la posizione di questo centrista molto vicino al potente movimento cattolico Comunione e liberazione era diventata sempre più insostenibile. Non solo Lupi appariva sempre più influenzato dal suo direttore tecnico, vero e proprio deus ex machina del ministero, ma ha anche ottenuto per il figlio numerosi favori da parte di imprenditori amici: un orologio Rolex del valore di 10.350 euro, vestiti su misura, un primo lavoro. È molto, in un paese in cui la disoccupazione giovanile supera il 40 per cento.
Ma quello che minacciava di diventare un problema politico per Matteo Renzi si è trasformato in una nuova vittoria per il premier. Senza dire nulla (cosa molto rara per lui), Renzi ha agito con abilità e forza di persuasione per sbarazzarsi del suo scomodo ministro e spingerlo a fare un passo indietro di sua iniziativa. Nel caso in cui questo non fosse bastato, era già pronta in parlamento una mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 stelle e dalla sinistra radicale. E non era affatto scontato che Lupi ne sarebbe uscito indenne.
Entrato in politica negli anni novanta a fianco di Silvio Berlusconi, Lupi – la cui ambizione era diventare un giorno sindaco di Milano – pensava che il semplice fatto di non essere indagato in questo nuovo caso di corruzione nel settore degli appalti pubblici lo mettesse al riparo da ogni problema. E poi, che cosa c’è di più nobile per un padre italiano che aiutare suo figlio? Che potesse avere una responsabilità quanto meno morale non sembra averlo neanche sfiorato. “Non mi dimetterò”, ripeteva sicuro del sostegno di coloro (e sono numerosi) per i quali l’“innocenza” è solo una questione di fedina penale.
Ma nonostante tutto l’Italia sta cambiando. Se in passato c’erano voluti mesi per far dimettere ministri attaccati alla loro immunità e accusati di collusione con la mafia, adesso sono bastati due giorni lavorativi per spingere alle dimissioni un uomo il cui solo torto (almeno per quanto emerso finora) è stato quello di essere troppo buono con il figlio. È un progresso reale. Lupi potrà sempre approfittare del suo tempo libero per chiarire la sua posizione e per ritrovare forse la fiducia degli italiani. Dopo tutto, una volta passata l’eclissi il sole ritorna, a Roma come altrove.
(Traduzione di Andrea De Ritis)