Domenica 31 maggio si era fatto fotografare in maniche di camicia mentre giocava alla Playstation nella sede del Partito democratico. Visibilmente poco stressato, “troppo cool”, anche se i risultati delle elezioni regionali costituiscono un segnale d’allarme: una regione persa (la Liguria), una guadagnata (la Campania), ma soprattutto un magro 23,7 per cento dei voti complessivi. L’indomani, senza aver detto una parola, il presidente del consiglio è ricomparso in Afghanistan in tuta mimetica, alla vigilia della festa nazionale del 2 giugno.

“Adolescente” o capo militare: Matteo Renzi sembra in bilico tra questi due ruoli. E soprattutto sembra voler evitare di dare spiegazioni. Come interpreta il forte astensionismo, che ha colpito anche un feudo della sinistra come la Toscana? Perché non è riuscito a impedire una candidatura dissidente in Liguria? Costringerà il vincitore delle elezioni in Campania a dimettersi perché è stato dichiarato “impresentabile” dalla commissione parlamentare antimafia? Non ha avuto torto a snobbare i sindacati come la Cgil, i cui iscritti hanno finito per ingrossare le fila degli astenuti o del Movimento 5 stelle? La sinistra radicale riuscirà a organizzarsi per smorzare il suo programma di riforme?

Nell’attesa di eventuali risposte a queste domande, i due partiti considerati vincitori dei sette scrutini regionali ostentano sicurezza. La Lega nord (xenofoba ed euroscettica) diventata la prima forza della destra superando Forza Italia, e il movimento di Beppe Grillo che, con quasi il venti per cento dei voti, si stabilizza a livello nazionale, vogliono entrambi arrivare presto al confronto, se possibile prima del 2018.

“Lasciate Renzi a me”, dice Matteo Salvini. “No, lasciatelo a noi”, ribatte Luigi De Maio. Tutti sono convinti che il premier è indebolito e che è il momento di presentarsi come forza alternativa. Ma per scontrarsi con il presidente del consiglio dovranno attendere che Renzi torni sul suo terreno preferito e che lasci perdere il joystick e la tuta mimetica.

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