È salito sul palco per primo. Non in virtù della sua età o della sua esperienza, ma semplicemente come il primo in ordine alfabetico degli oratori. Domenica 8 novembre, a Bologna, l’ex presidente del consiglio che ha regnato sul paese per nove anni e sulla destra italiana per venti ha firmato la sua resa politica partecipando a un comizio organizzato dalla Lega nord, in un momento da avanspettacolo come succedeva un tempo agli ammaestratori di cani, ai prestigiatori e alle aspiranti soubrette.

In questa riunione di tutta la destra italiana – c’erano anche i postfascisti di Fratelli d’Italia – che punta a battere Matteo Renzi, Silvio Berlusconi ha pronunciato gli slogan più antieuropei della sua carriera. Eppure tre settimane prima aveva partecipato al congresso del Partito popolare europeo a Madrid, che aveva segnato il ritorno nella sua famiglia politica da cui lo avevano allontanato le peripezie personali e la sua condanna per frode fiscale.

Ma tra fare la comparsa alle spalle di Angela Merkel e giocarsi un’ultima mano al tavolo della politica italiana, nonostante Forza Italia sia ridotta al 10 per cento delle intenzioni di voto, il cavaliere non ha avuto dubbi. “Volete ancora sostenere un’Europa che c’impone tasse e austerità?”, ha chiesto al pubblico. “Volete ancora sostenere un’Europa che c’impone le sanzioni contro la Russia?”, ha chiesto colui che a ottobre ha visitato la Crimea insieme al suo amico Vladimir Putin.

I cambi di linea, le oscillazioni e i voltafaccia hanno sempre fatto parte dell’arsenale politico di Berlusconi. Un tempo pensava che facendo così avrebbe anticipato l’opinione pubblica e rinsaldato il suo legame con gli elettori. Domenica, all’interminabile crepuscolo della sua vita politica, ha semplicemente consegnato tutto il credito che gli rimaneva a un partito antieuropeo, xenofobo e populista, alleato con il Front national al parlamento europeo, che si crede il fulcro della nuova architettura della destra italiana. Primo a prendere la parola, è stato anche il primo a celebrare il suo funerale politico.

(Traduzione di Gabriele Crescente)

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