1. Donovan, Sunshine superman
“You’re gonna be mine, I know it, we’ll do it in style / ‘Cause I made my mind up you’re going to be mine”: i sigari e gli strategismi sentimentali di Barney resi con quel clangore metallico glamour della prima psichedelia; il singolo del protocapellone scozzese riciclato a puntino per la colonna sonora della Versione di Barney finalmente approdata al cinema. Pezzo perfetto per prendere di petto tutte le mattine del mondo, buono per i nostalgici e ottimo per quei fortunati che non conoscono, o hanno dimenticato, l’energia senza filtro dei primitivi.
2. The Eighties Matchbox B-Line Disaster, So long goodnight
Un’apocalittica ballata romantica per cavalcare nella notte, dietro a carovane fantasma, fin dentro paludi maledette. Insieme al vocione cavalleresco di Guy McKnight, la band di Brighton risorge dalla rehab come arrapate fenici con il senso di una missione: sfondare, o sprofondare nell’oblio. Le band britanniche sono più belle quando senti che hanno fame, e questi divorano arpeggi maestosi, western gotici, suffumigi tragici con l’aplomb di avvoltoi all’antica. Desperados da bere a canna e ascoltare a palla.
3. La Blanche Alchimie, Galactic boredom
Intitolare un album alla noia galattica è, quantomeno, una mossa spavalda. Jessica Einaudi e Federico Albanese giocano il gioco dell’ennui pop cantato in inglese, e trovano composizioni piacevoli, una musicalità gentile, il garbo di una levità classicheggiante, da brunch esistenzialista: se alla fine ci si annoia anche un po’, è pur sempre con loro, e non di loro. Non è tedio mortale, è quel vago torpore da chillout in cui ci si può anche immergere, come in una vasca da bagno con un bicchierino di porto, qualcosa di fumabile e un adelphi rovinato dai vapori.
Internazionale, numero 880, 14 gennaio 2011
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