1. La Caravane Passe, Perdu ta langue (feat. Rachid Taha)

Quello che mancava era un anello di congiunzione tra Manu Chao ed Elias Canetti, i Gogol Bordello e i tuareg. E tra i Balcani pop e le vie del deserto, tra il magrebino parigino e le cicogne danubiane. Nessuna lingua salvata e un solo argot gitano che prevale Ahora in da futur, come insinua il titolo del nuovo album di questo coacervo di musicisti parigini. Che suonano un po’ come se i Mano Negra s’imbarcassero in un giro del mondo con Emir Kusturica, sans papiers ma con un sacco di cartine per rollare idee a ripetizione.

2. Jobi 4, All has been said

Al confronto con La Caravane Passe, Johannes Bickler e Federica Caiozzo possono sembrare un po’ europrovinciali. Anche perché questo batterista tedesco cresciuto in Italia e la sua cantante polacca di Palermo cantano solo in inglese accademico, non sono esuberanti, restano morbidi, volano bassi, schivano sassi. Però (nell’album Jobi 4) fanno una musica b&b pulita, rilassante, fresca, con pochi echi jazz e arrangiamenti di buona scuola. E allora perché no, perché non abbracciare il sound soft e disteso di una band esordiente che non lo dimostra.

3. Stromae, *Bienvenue chez moi***

Le origini di questo soft rapper francofono sembrano una partita della prima fase dei mondiali (Belgio-Ruanda). Magari è uno dei tanti che restano ancorati a un morceau di gloria, ma intanto sta sfondando con il contagioso Alors, on danse. Il 21 giugno uscirà il suo album Cheese e si capirà se ha la stoffa. Per ora sembra avere storie da raccontare e l’energia per farlo: ogni pezzo è un apripista per volare nel mondo. Partendo da un club e un fascio di luci nel buio di Bruxelles, un affabulatore suadente si qualifica nell’elettronica e approda al campionato del pop.

Internazionale, numero 850, 11 giugno 2010

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