1. Cold War Kids, Louder than ever

Succede che alcune band si affidano a produttori capaci e vendono un po’ di anima, si lasciano levigare per essere più aerodinamiche. Ai tempi di We used to vacation erano come diamanti grezzi, adesso sono baguette da gioielleria rock’n’roll. Ma nei momenti migliori di Mine is yours lasciano il segno. Nathan Willett è di quei cantanti che soffrono e sollevano sofferenze. Altrove soccombono all’eccesso di lubrificante radiofonico. “It’s a slippery slope”: quando si vuol salire per la linea di massima tendenza, capita di scivolare rapidi all’indietro.

2. The Decemberists, Don’t carry it all

A volte capita che si liberino dal giogo, che ritrovino la semplicità. Quella della band di Portland passa sempre per liriche da letterati, superospiti di provata fede nel country, un certo sussiego da saggio d’inizio anno: ma su The king is dead parcheggiano il cervello vicino al fienile e lasciano che sia la pancia a guidarli. Sono pur sempre un gruppo di intellettuali da campagna; ma quello che non possono fare in semplicità, lo buttano in disciplina: e sono grandi armonie vocali, violini e slideguitar ripuliti, e si apre un pomeriggio sereno che volge al bucolico.

3. Carneigra, Fumatori della sera

Suonano come un peschereccio che attracca al tramonto in cerca di osterie, questi tre Fumatori della sera. Sono mangiatori di cacciucchi, e intrecciano mandolini e conversazioni di lungo corso, l’eterna vena mediterranea e la voglia di guardare in fondo al bicchiere. Le loro ballate sono piccole comiche esistenziali, e sembra di vederli muoversi al ritmo di zumpa zumpa o di tzatziki per far finta di non essere affatto sentimentali. Ma questo lieve folk italico pescato a Livorno è condito di malinconia, corretta humour.

Internazionale, numero 882, 28 gennaio 2011

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