1. Giuni Russo, Lettera al governatore della Libia

“I trafficanti d’armi occidentali passano coi ministri accanto alle frontiere: andate a far la guerra a Tripoli”. In questi giorni come si fa a non ripensarci. Franco Battiato e Giuni Russo, insieme nell’esplosivo album Energie, del 1981. Il governatore era Rodolfo Graziani, plenipotenziario libico di Mussolini, cui Battiato fa esplicito riferimento nella sua versione. Ma la nota dolente del canto di Giuni si presta alle follie di Gheddafi, a corresponsabilità contemporanee e italiche, a un’angoscia senza tempo né senso.

2. Middle Class Rut, Are you on your way

Ci sono cose che si accumulano nella memoria, che non si possono esprimere, cose che sappiamo di non sapere e cose che causano frustrazioni cosmiche. E ci sono band che come spugne sanno assorbire quella robaccia e convertirla in energia. Come i californiani Zack Lopez e Sean Stockham. Solo due ometti, ma a tratti capaci, nel loro secondo album No name no color di rendere panoramico il casino della vita. Stanno a tutto il solito groviglio interiore da emo come Ansel Adams sta alle cabine per fototessera nella stazione del metrò.

3. PJ Harvey, The words that maketh murder

Ha il diritto, la galleria degli orrori della guerra, di essere resa come un flirt con la categoria del “carino”? Le dissonanze di cui si adorna PJ Harvey toccano nervi scoperti; la ballata più apocalittica del disturbante nuovo album è una sorta di Goya corretto Afghanistan, è una letteratura macchiata di cronaca o viceversa; e però suona come un saggio di fine anno, blues bello ritmato con le manine che battono e il controcanto di John Parish, e sì, una chiusa sardonica: “E se sottoponessi il mio problema alle Nazioni Unite?”.

Internazionale, numero 886, 25 febbraio 2011

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