1. Nouvelle Vague, Amoureux solitaires
“Et toi, dis-moi que tu m’aimes”. Per i neonostalgici francofili, le icone adolescenziali incontournables rimangono due: Sophie Marceau nel Tempo delle mele, e Wanda Maria Ribeiro Furtado Tavares de Vasconcelos, alias Lio, nei tre minuti di Amoureux solitaires. Onore ai Nouvelle Vague, band apparentemente inutile ma specializzata nell’innesto di anima in pezzi vintage, che nell’ultimo album Version française sfigura la canzone trasformandola da pura plastica pop (mutuata dal punk degli Stinky Toys) in una quasi bossa acustica piena di malinconia.
2. Fleet Foxes, Lorelai
Zum-pa-pa, a ritmo di valzer ripartono i ragazzi di Seattle in questo Helplessness blues, forse l’album più francamente carino dell’anno, ma non il carino solito. Un carino che è come gli album di Simon & Garfunkel per i veteronostalgici di tendenza americana, come l’odore del panettiere o il colore della passiflora. Lorelai, come una sirena sul Reno, o la cetra, il carillon, la chitarra a 12 corde, il dulcimer e tutte quelle altre celesti diavolerie che dicono di suonare e, quel che è meglio, suonano carine e colpiscono in profondità.
3. Beastie Boys, Nonstop disco powerpack
Mannaggia quante ne abbiamo combinate, noi neonostalgici nella vena newyorchese early nineties. Quante sfumazzate sui tetti dell’East Village, quante sneaker consumate a far finta di sapere la breakdance, quanti cappellini with attitude per essere almeno un po’ Licensed to ill. Almeno un po’ bestie come i Beasties, bianchetti perennemente neri a metà, simpatici come avremmo voluto essere tutti. E allora rieccoli, e rieccoci, in *Hot sauce committee **part two*. Da ascoltare sul ghetto blaster, niente cuffiette bianche stavolta, dài.
Internazionale, numero 897, 13 maggio 2011
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