1. Cesare Malfatti, Andate via
“Il mio tempo è tempo perso, che lo cerchi pure Proust / Ci sono cose divertenti che non rifarò mai più”. Cesare Malfatti, ex metà dei La Crus (quello più musicale, rispetto al letterario Mauro Ermanno Giovanardi), si fa scrivere parole su misura (da Alessandro Cremonesi), si cuce a mano i cd come piccoli albi carta bianca e filo rosso, e si suona tutto da sé. Tra chitarre, balalaika e charango ne esce un animo insonne (come Charlotte Gainsbourg quando si alzava alle 5:55), dedito a ballate scarne e soft e degustazioni di pop slow all’italiana.
2. Poor Man Style, Crisi
“Leggi i titoli dei quotidiani e ti deprimi. Guardi la tivù e nei canali ovunque giri ti dicono c’è crisi, nascondono i motivi”. È il mood complottardo dei torinesi Poor Man Style, che si tappezzano l’album Lontano con un murales alla Inti-Illimani e offrono la versione reggae (e tutto sommato assai solare) di quegli umori neri che stanno portando i giovani spagnoli ad accamparsi nelle piazze, quel sentirsi cornuti e mazziati da politici media e big business. Qualcuno darà ascolto? O è tutto un infruttuoso retweet di frustrazioni?
3. Giorgio Li Calzi feat. Retina.it, Madonna delle lamiere
Trombetta fossile rinvenuta sotto strati di sedimentazione elettronica, scorie sonore, flussi di dati dispersi nelle tempeste digitali del medio antropocene. Ecco, più o meno suona così questa traccia, contenuta nel recente* Organum*, lavoro in cui maturità interpretativa e voglia di sperimentare convergono (come il tardivo Miles Davis di Tutu). E oh, ragazzi, non staremo mica qui a far finta di scrivere sul jazz? Però l’ascolto premia il tentativo; questa è musica da esplorare.
Internazionale, numero 900, 2 giugno 2011
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