1. Lewis Floyd Henry, The devil’s working
A Londra, Lewis girava col suo passeggino con amplificatore da 30 watt (pochi), una chitarra, una batteria giocattolo. Si piazzava all’angolo della strada, accendeva, iniziava a suonare come il bastardo di Robert Johnson, Jimi Hendrix e il vostro metallaro preferito. Vendere l’anima al diavolo era più facile, ma seicentomila marciapiedi dopo un discografico gli ha offerto un contratto. Album: One man and his 30w pram. Blues grattugiato grezzo, come un secolo fa, quando i bianchi copiavano i neri mettendoci un po’ di palle e diventavano i Rolling Stones.
2. Rashomon, Il cielo di Super Mario
Randagismi al ragù di ruggine, peppers all’aceto, roccaccio all’arrabbiata italica venato di psichedelia alla Ray Manzarek, e pure profezie su draghi e monti (“Torneremo a credere in questa vita, come se fossimo nati ieri”). Modenero col toy piano, Kheyre Walamaghe maledice la pioggia sul tetto e il Cirque du Soleil, si tira fuori dal passato City Rambler insieme a Matteo Fiorini batteria e Simone Galassi chitarre, pestando Black Keys. Made in Maranello: Andrà tutto bene, primo album di ottimismo apocalittico, alla The road col carrello della spesa pieno.
3. Paolo Spaccamonti, Amici vecchi
Arpeggi a mosaico, tessuti di chitarra intelaiati per colonne sonore di film ancora da fare. Ovviamente film di quelli europei, grigiopiombo, profondi e a tratti spaccacoglioni e poi di nuovo ispirati e grandiosi: un ragazzo torinese che di lavoro aiuta disabili, infermi di mente, autistici e tetraplegici, si riserva spazi di studio per corde e cinema; fatica, incide, pubblica cd, incide, fatica, coinvolge Julia Kent che suona il violoncello con Antony & the Johnsons. E poi pubblica secondo cd, Buone notizie. È una storia vera, manca solo il regista giusto.
Internazionale, numero 926, 2 dicembre 2011
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