1. Emeli Sandé, Breaking the law
È nata una reginetta del neo-soul, ma non sarà mai una Whitney Houston, più una Lisbeth Salander capace di diventare cleptomane o piromane per strappare un sorriso a fidanzati malinconici. Anglozambiana dalla zampata vocale facile, strappacore ed energetica a fasi alterne, ma sempre carismatica. Fresca di un album, Our version of events, abbastanza denso di sofisticate scorciatoie britanniche tra lo Stevie Wonder anni settanta e i Massive Attack dei novanta da camuffare quell’aria scontata di certo materiale piacione da prime-time.
2. Above The Tree & The E-Side, Safari F.C.
Accordi assetati in una savana di percussioni, vocalizzi tribali, sonagli elettronico-cinematografici, una sottile ipnosi da scorpioni, un avvolgente senso di disorientamento. C’è chi dice psych-folk, e potrebbero essere nenie di una civiltà ipogea dedita al culto della luna e all’ingestione di radici, ma dotata di caricabatterie: in realtà è l’incontro tra Marco Bernacchia, chitarrista/compositore, e Matteo Sideri, manipolatore di suoni sintetici. L’album Wild è il ragazzo selvaggio nato da questo incontro tra afromarchigiani mascherati.
3. Paolo Fresu & Omar Sosa feat. Jaques Morelenbaum, Under african skies
Potrebbe fare s’inguldo (l’ingordo), il nostro fenomeno della tromba, e invece. Come Miles Davis ultima maniera faceva con Marcus Miller, Fresu trova il pianista cubano Omar Sosa come copilota e condivide musica e firma dell’album Alma. Trova formule sonore non nostalgiche, magari ripartendo dal Sudafrica sognato da Paul Simon in Graceland, approda a un jazz di mondo, di delicatezza mediterranea ma con un venticello afrolatino e un violoncello che rumina saudade in a silent way.
Internazionale, numero 938, 2 marzo 2012
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