1. Crybaby, I cherish the heartbreak more than the love I lost

Oh, palliativi. Inventarsi una grande goduria là dove c’è una fenditura nel cuore. Avvoltolarsi nelle proprie miserie e derivarne una ballata lenta da ascensore per lo scantinato. Essere irlandese e darsi un nome d’arte da piagnone (Crybaby, come già dicevano dei geek i duri The National in quel loro album emotivo, High violet) e ricordare gli slow delle balere di una volta e Roy Orbison e il Morrissey sentimentalone e tutti i libri che uno non scrive mai sulle emozioni. Che d’altronde, chi glielo fa fare; c’è già la musica per questo.

2. Maria Antonietta, Maria Maddalena

E Giovanna D’Arco e Courtney Love e Santa Caterina, e non c’è niente di carmenconsolatorio nelle lune punk di questa fenomena pesarese che tiene 25 anni e un album (prodotto dal neo-urlatore Dario Brunori) intitolato a se medesima e una chitarra scordata e un martini cocktail e gli occhiali da sole e tentazioni retrò ed emozioni avanti. E sa coagulare in un solo urlo la voglia di scopare e la nausea di esistere: sarà anche stancante vivere in costanza di melodramma, però intanto se la vive, poi per essere emotivamente drenati c’è tanto tempo davanti.

**3. Il disordine delle cose,* Vorrei, potrei, dovrei***

Darsi uno spessore per emergere dalle proprie impasse, per non naufragare nell’indifferenza indie: assoldare il produttore dei Sigur Rós, andare a registrare in Islanda, farsi dare una mano dai Perturbazione, investire nella confezione, in fotografie che rendono il senso dello sforzo titanico che si ritrova nelle canzoni. La bellezza della gravitas pervade La giostra, secondo album di questa ponderosa romantica band che viene da Novara e naviga nelle viscere del nord; pulizia sonora, introspezione, voglia di rilevanza. Elevarsi, che sollievo.

Internazionale, numero 939, 9 marzo 2012

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