1. Dimartino, Cartoline da Amsterdam
Cantautorato à la page nell’album Sarebbe bello non lasciarsi mai ma abbandonarsi ogni tanto è utile: il messaggio è in chiaro ma siamo tutti lì col decoder. Scorre coerente e siculo di sé, omogeneo e socialgenico (le geometriche nudità del video di Noi non siamo alberi), le melodie non sono mai banali ed è arrangiato ottimamente. La nonna direbbe “un quadro di lontananza” che più ti avvicini meno ti esalta; cartoline appunto, o foglie in mezzo a un libro di Proust per far fare figo, o forse per far finta di no ma con la convinzione che prima o poi tornerà a far figo.
2. Squackett, Perfect love song
Semiperfetta; sembra scongelata dal freezer di Wind & wuthering, o A trick of the tail o insomma uno di quei Genesis semipop che facevano cugino grande anni settanta. Come ogni cugino grande, cover band degli Yes o blogger prog riconoscerà all’istante, Squackett è crasi tra Chris Squire e Steve Hackett, basso e chitarra protagonisti di quella stagione, in quelle band. A Life within a day è antiquato e stravagante; sono come due vecchi alieni ai giardinetti, che giocano con armonie cosmiche al posto delle bocce, manco i bambini si meravigliano più.
3. Carmelo Amenta, I gatti se ne fanno un cazzo della trippa
Ma com’è che a tutti quelli che escono da Cosmopolis l’unica cosa che resta in testa è l’uso del ratto come valuta? Che tristezza, oh. Preferisce i croccantini questo Tom Waits siculo che registra a Fiumedinisi, mastica amaro per partito preso ma ha un suo sense of humour e ama quel suono metallico delle ferraglie che sbattono e grattano, e sputa boli di bile blues con cui si potrebbe giocare a biglie sulle spiagge di Stromboli, e se son tutti scogli vulcanici tanto meglio, bambini.
Internazionale, numero 951, 1 giugno 2012
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