1. I gatti mézzi, Piscio ar muro

Per le strade di Livorno, fuori, di sera, un po’ briài, tra amici mici, col raschio maschio, a parlar di donne, a celebrare la “bromance”, pure in copertina del nuovo album Vestiti leggeri, con uno seduto sulla canna della bici dell’altro e giù a ridersela, a fare il verso a Fred Buscaglione, in forme benigne di demenza virile. Come questo inno al murales liquido di coppia eseguito in modalità manouche Django Reinhardt, e vabbè, tutto scorre, delicati fiotti di vibrafono a marcare il territorio jazzy gitano. Tornerà la malinconia, ma intanto la piazza è espugnata.

2. Daft Punk, Get lucky

È amore anche tra i due androidi quasi francesi che fanno party come se fosse il 1979 ospitando mitici fabbricanti di suoni dell’epoca (la chitarrina con la ritmica funky compressa è di Nile Rodgers, le rimbalzose morositas elettroniche prelevate da Giorgio Moroder per Donna Summer) e poi vabbè, ecco partire la voce di Pharrell Williams: come la leggenda della fenice, tutto ricomincia dalla fine, e la discomusic rinasce luccicante dai propri posacenere nel singolo perfettino che apre la pista dell’estate e le danze di Random access memories.

3. Il Magnetofono, Mondo di uomini

“Ma non sarebbe niente se non ci fosse una donna”, il vecchio omaccione James Brown ci aveva ragione, signora mia, it’s a man’s world ma tant’è. Bislacca e però sentita e convincente, la versione italiana che Luigi Tenco e Sergio Bardotti s’inventarono per Lucio Dalla nel 1966 rivive in veste jazz mélo nel nuovo progetto di tre musicisti vicentini (Alan Bedin usa la voce, Emanuele Gardin il piano, Marco Penzo il contrabbasso), un pittore di corte, una quantità di ospiti. Omaggi ai sixties d’autore registrati in presa diretta; molto di nicchia, e di qualità.

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