1. Carlone Li Calzi Righeira, L’italiano
Se Toto Cutugno fosse stato nei Massive Attack, il suo eccellente pezzo del 1983 non verrebbe suonato da fisarmonicisti bielorussi sulle scalinate di San Pietro in Vincoli; sarebbe un trippy club classic con crema da barba alla menta, e i riverberi electro al posto giusto. La sorniona voce di Johnson Righeira, l’astuto trombettismo di Giorgio Li Calzi, il fiato mai sprecato di Gianluigi Carlone lo dimostrano in Italiani, raccolta di gioielli pop alti e bassi (da Se stasera sono qui a L’estate sta finendo) lucidati con rispetto e buon gusto notturno.
2. Ossi Duri, Why does it hurt when I pee?
O, del perché mi brucia a far pipì. Molti di noi si accostarono a Frank Zappa (geniaccio defunto vent’anni fa) con Joe’s garage, opera rock del 1979 in cui la sua mercuriale musica giocava agli American graffiti, più facile del solito per servire una storia iniziatica di sesso, chitarre, groupies cattoliche e malattie veneree. Riproposta da un torrenziale gruppo torinese che fa uscire tre album, di cui uno, Frankamente, è un rosario di cover zappiane azzeccate anche grazie alla localizzazione italiota di un Elio rispettoso financo del gonococco.
3. R-Evolution Band, Mother
L’ultimo pezzo del lato A di The wall (1979), il battito cardiaco di Breathe, una voce femminile pasticcina, una chitarra che spennella nel buio buone sfumature di blues, una voce maschile diversamente anglo e un discreto arrangiamento cool. Profanazione, decostruzione, pastiche, reinvenzione? Nell’album The dark side of the wall ogni mattone del muro pinkfloydiano viene sbreccato, ridipinto, riarrangiato dalla band del flautista Vittorio Sabelli. A volte fino all’irriconoscibilità, spesso con trovate strumentali interessanti, mai con un cantato all’altezza.
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