1. Laibach, Eat liver!
Chi ha sempre amato mangiare il fegato (che molti schifano) si sentirà meno solo: ecco un inno dei potenti Laibach, collettivo elettronico-multimediale di Lubiana, da trent’anni specializzato in atmosfere da regime stalinista prossimo venturo, videogame e cemento armato, industria in dissoluzione e humour cupo (che si traduce qui, anche, nel fatto di citare la vecchia Stand & deliver di Adam & The Ants). I Kraftwerk ex jugoslavi, dal loro ultimo album Spectre: incisivi e monolitici come cattivi di James Bond in ogni scena meno l’ultima.
2. Carmelo Amenta, Pane e vino
Niente Nero d’Avola né pane siciliano con semi di sesamo. “Sì / Lo so / Non dovrei sorridere / Ma tu non accendere / La luce / Restiamo immobili”. Allegria! Se la depressa fosse una forma di entertainment, Carmelo Amenta sarebbe lì lì con Fiorello. Invece è un cantautore siculo di piglio intenso e dolente; dopo I gatti se ne fanno un cazzo della trippa ecco l’album Cuori e parole in piccole botti di legno. Siculo dark da intenditori: dopo Cesare Basile, sottoapprezzato, nemmeno il bravo Amenta sembra in cerca di scorciatoie tra Siracusa e Sanremo.
3. Antonio Onorato e Toninho Horta, Peixe vivo
Il pesce vivo è di fiume, e in questo canto popolare del Minas Gerais viene usato non come pietanza, ma come metafora per quello che canta, che senza la “tua compagnia” è un pesce fuor d’acqua. La compagnia qui è il sodalizio chitarristico tra Toninho Horta, grande vecchio brasileiro del violão, e il virtuoso jazz partenopeo Antonio Onorato: From Napoli to Belo Horizonte ne è il prodotto, album di accordi e finezze indolenti e dolci, idealmente da spalmarsi sul sofà e abbandonarsi all’otium, o digerire una mangiata di mare.
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