1. Michel Cloup Duo, Nous Viellirons Ensemble

Questa cosa dell’invecchiare insieme, non sarà un poco sopravvalutata? Vista come un valore, tipo i libri sugli scaffali due poltrone fianco a fianco un buon odorino dal forno e là fuori gli schiamazzi dei nipotini allegri? Per i francesi chiaramente roba così è insopportabile, donde il finale di Limonov, e questa chanson adeguatamente cupa e accigliata così post-tsunami, e carica di presentimenti, dell’ex chitarrista e vocione pensante dei Diabologum, romanticone cupo dell’alt-rock francese che ha appena sfornato l’album Minuit dans tes bras.

2. Testaintasca, Cazzi tuoi

Odioso dare un titolo così a una canzone, certe parole non andrebbero pubblicate nemmeno sui socialcosi; su un giornale peggio mi sento, su una rubrica con i titoli in nero corsivo manco a pensarci. Però questa è una canzone liberatoria, un alt-pop all’agro ripassato in padella; con un riff tipo Kinks, come loro che son due fratelli e due no. Imparentati con i britannici anche da questa rabbia che prevale su un certo cinismo romano che invece li accomuna a I Cani (the band). Comunque l’album lo titolano Maledizione!, imprecazione ben più pubblicabile.

3. George Ezra, Budapest

Improvvisa nel biancore della tundra alessandrina (neve nebbia scappamenti), ecco alla radio la canzone che dà un senso di speranza a tutto: la vita e il bianco e il significato rigenerante che ogni viaggio dovrebbe avere. Ezra è un inglese di Bristol, classe 1993, uno di quelli con la chitarra che dormono nelle stazioni e racimolano esperienze e spiccioli negli angoli dei vicoli e nei folkfestival dell’est. Un Llewyn Davis del mondo reale, dotato di voce e maturità da fuoriclasse che lo vedresti a passeggio nel bianco invernale del Green­wich Village, circa nel 1964.

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